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Allonsanfàn
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Il Gattopardo e il calvario di Elio Vittorini

Sentii parlare per la prima volta del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, appena edito da Feltrinelli nel 1958, ascoltando i miei genitori mentre si scambiavano le iniziali impressioni sul romanzo.

Mio padre Ugo aveva appena finito di leggerlo, mia madre aveva sfogliato le prime pagine. Mi raccomandai con lei di passarmelo appena terminata la lettura.

«Nel frattempo leggi I Viceré di De Roberto», mi indicò mio padre prendendo il grosso volume dalla libreria. La mole del libro mi spaventò.

Arrivato a metà lettura, ottenni Il Gattopardo e passai a questo romanzo che mi apparve più “leggero” e scorrevole. Mi venne facile fare un confronto tra le due opere, ambientate in Sicilia nello stesso periodo storico, tra il passaggio dal regno borbonico all’ Italia unita.

Il gattopardo elio vittorini
La prima edizione de Il Gattopardo (1958)

Non fu un confronto da critico, ma azzardato e secco, data la mia età: ne dedussi semplicemente che 60 anni dopo, Lampedusa aveva copiato De Roberto.

Giunsi a questa conclusione avendo constatato prima di tutto che i principi Salina del Gattopardo appartenevano alla stessa nobiltà degli Uzeda dei Viceré, entrambi grandi latifondisti in una Sicilia borbonica e medioevale.

Tra l’altro la descrizione del viaggio delle rispettive famiglie da Palermo verso i propri feudi in campagna si somigliava moltissimo.

In età matura, dopo aver riletto I Viceré e le altre due opere legate alla trilogia che sono L’Illusione (la prima) e L’Imperio (la terza), ho ritenuto che ci fossero tanti punti di contatto e parallelismi con Il Gattopardo da rendere possibile l’ipotesi che Lampedusa si sia ispirato a De Roberto, con un romanzo più leggibile per un pubblico più vasto, ma storicamente e ideologicamente inferiore.

Nel ’63 è arrivato il film di Visconti sul Gattopardo che ha attirato milioni di spettatori confermando il grande successo di vendite dell’opera scritta.

Tanti anni dopo vedendo qualche puntata del serial televisivo inglese Downton Abbey, ho trovato certe similitudini col film sul Gattopardo ovviamente in situazioni storiche e ambientali diverse. Li ho definiti entrambi due “polpettoni” ben fatti. Probabilmente un giudizio azzardato come quello da diciottenne.

E adesso arriviamo a Elio Vittorini, mio zio, “messo in croce” dopo i successi dell’opera di Lampedusa pubblicata da Feltrinelli. Lo scrittore venne criticato da una parte dei giornali e della Cultura italiana per “aver rifiutato di pubblicare Il Gattopardo” quando era consulente della Mondadori. Inoltre, come scrisse, non era tecnicamente possibile passarlo alla Einaudi per la collana dei Gettoni dedicata ai nuovi autori.

Furono accuse pesanti o per lo meno inesatte. Non corrispondono alla ricca documentazione raccolta dai biografi, dagli studiosi o conservata presso gli editori. È interessante la biografia critica Il lungo viaggio di Vittorini scritta da Raffaele Crovi (Marsilio 1998).

Il gattopardo crovi Elio vittorini

Tomasi aveva inviato nel maggio del 1956 a Mondadori dei racconti composti in tempi diversi che intendeva trasformare in un unico romanzo. Lo aveva comunicato il 31 marzo dello stesso anno all’amico Guido Lajolo affermando in una lettera «di aver avviato la scrittura di un romanzo, per meglio dire di tre novelle collegate tra di loro».

Il primo a leggere quei manoscritti per la Mondadori fu Sergio Antonielli – critico letterario e italianista – il quale commentò tra l’altro: «Un’opera abbastanza buona non priva di spunti felici, la cui pubblicazione potrebbe essere presa in considerazione se l’autore avesse sviluppato con maggiore coerenza il suo tema». Il commento prosegue arrivando alla conclusione: «Il modo di scrivere di Tomasi è piuttosto anonimo: corretto, efficace in qualche punto ma anche convenzionale e risaputo».

Seguirono altri due giudizi di lettori della Mondadori dopo i quali Vittorini, coordinatore del Comitato di lettura, commentò: «Per due lettori il lavoro manca di abilità, per il terzo di determinazione morale. Manca comunque di qualcosa che rende il lavoro monco, pur pregevole. Non so se si potrebbe far capire all’autore che dovrebbe rimetterci le mani? Intanto restituirei gli scritti avendo cura di assicurarci che l’autore li rispedisca a noi dopo fatta la revisione».

Ma Federico Federici, responsabile della segreteria editoriale della Mondadori, e Alberto Mondadori decisero per il rifiuto del libro senza appello.

Vittorini decise invece di scrivere una lettera a Tomasi, datata 2 luglio del ’57, nella quale apprezzava la sua opera e ne consigliava alcune modifiche. Questa lettera si trova da tempo su internet.

Non ottenne risposta (probabilmente perché l’autore si era ammalato) e il romanzo, completo, venne pubblicato nel ’58 da Feltrinelli nella collana letteratura diretta da Giorgio Bassani. Come è noto, ottenne grande successo.

Ed ecco come iniziarono le polemiche. Il 24 febbraio del ’59, Il  Giorno pubblicò una lunga intervista di Roberto De Monticelli a Vittorini. Gli fu chiesto quale fosse il miglior libro del 1958 e lui indicò I racconti di Italo Calvino.

«Perché non il Gattopardo?» gli chiese De Monticelli. Vittorini rispose con una lunga spiegazione della quale cito alcune frasi: «Il libro è certo piacevole e si pone senza dubbio su un elevato livello letterario, ma non è di alta statura… È una seducente imitazione dei Viceré di De Roberto».

Ne seguirono le polemiche: Il Giorno titolò “Il Gattopardo dà fuoco alle polveri” un articolo che conteneva lettere contro la tesi di Vittorini scritte da Bassani e dalla vedova di Tomasi.

Era scoppiata la “guerra”: in favore di Vittorini intervenne Leonardo Sciascia che in una conferenza tenuta a Palermo espresse sul libro le stesse riserve di Vittorini attaccando severamente i gattopardiani.

Da quei giorni ebbe inizio la lunga storia trasformatasi in attacchi  a Vittorini ai quali lui aveva smesso di rispondere. In una lettera a mio padre in cui spiegava la propria posizione, concluse con un uffa, adesso basta. Gli attacchi continuarono a periodi anche dopo la sua scomparsa prematura avvenuta il 12 febbraio del ’66.

Decisi di studiare tutta la storia delle polemiche sulGattopardo dopo aver partecipato nel 2017, ormai in pensione, a un dibattito su Vittorini organizzato dal Gabinetto Vieusseux di Firenze.

Due docenti universitari conclusero, documenti alla mano, che Vittorini non aveva respinto il libro, ma aveva svolto il suo lavoro di critico presso una Casa editrice in cui lavorava. «E se anche avesse sbagliato, perché tanto livore nei suoi confronti? Dobbiamo mettere in croce tutti i critici?», conclusero.

Foto in apertura: Elio Vittorini, ripreso nei pressi della sua abitazione presso la darsena di Viale Gorizia a Milano (foto archivio famiglia Vittorini)

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