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Occidenti e modernità: si può vedere un mondo nuovo?

Occidenti e modernità (il Mulino) di Andrea Graziosi, impone di scendere a duello con 211 faticose pagine. È certo un caso che l’abbia terminato nel giorno della vittoria di Trump; non credo invece lo siano le ragioni che hanno portato alla sua elezione: per molti aspetti le ritroveremo nel lavoro di Graziosi. Graziosi usa il plurale e avverte che gli “Occidenti” non sono più gli stessi da quando il Covid e l’invasione dell’Ucraina hanno spazzato via che le categorie mentali e politiche con cui sinora abbiamo letto la realtà. Gli “Occidenti” sono stati più d’uno, avverte l’autore; il nostro nuovo Occidente è iniziato nel ’45, legato alla versione del Moderno nata negli Stati Uniti.

(Nota: Graziosi è uno storico di grandissimo valore. A lui dobbiamo studi sull’Unione Sovietica diventati riferimento obbligato: ha potuto consultare gli archivi di Mosca nel breve lasso di tempo in cui sono stati accessibili prima che Putin calasse nuovamente la cortina di ferro).

Cosa dice Graziosi nelle 211 faticose pagine? Innanzitutto che gli Illuministi tutti i torti non avevano: esistono degli “universali” che riguardano tutti gli uomini e tutte le civiltà. In sintesi: al crescere del benessere economico (e culturale) si assiste a una generale caduta del tasso di procreazione. Le famiglie patriarcali e numerose sono il combinato disposto della povertà, della marginalità e dell’ignoranza. Graziosi ripetutamente dimostra che ovunque nel mondo alla crescita del PIL corrisponde il crollo del tasso di natalità. Le persone che finalmente riescono a sbarcare sull’isola della Modernità hanno voglia di badare a sé stesse piuttosto che curare nidiate di pupi frignanti, il “welfare” delle società precapitalistiche. Secondo Graziosi la Francia del XVIII secolo con le sue campagne spopolate è stato il primo Paese “dove masse di uomini comuni hanno cominciato a capire che vivere meglio e in modo diverso… era possibile, eccitando probabilmente il desiderio  delle loro compagne, inizialmente escluse da questo progresso”.

Occidenti e modernità Graziosi

Perché “Occidenti”? Sono stati più d’uno.Il nostro nuovo Occidente è iniziato nel ’45, legato alla versione del Moderno nata negli Stati Uniti. I processi significativi del nuovo Occidente sono sostanzialmente due: la discesa della fertilità sotto la quota di riproduzione e la crescita della speranza di vita oltre gli 80 anni. Mai successo prima. Ma attenzione, questa versione della modernità non è frutto di “inevitabili processi demografici”, ma del progresso tecnico e scientifico che ha reso possibile nuove e migliori condizioni di vita. Il risultato è una società che invecchia, perde vitalità e capacità di cambiamento, e anzi ha il terrore del cambiamento. Ricompaiono istanze reazionarie che si riteneva sparite per sempre, si manifestano grandi difficoltà nella creazione di collettività multiformi e plurali e la politica si rivela incapace di comprendere il “mondo nuovo”.

L’angoscia generata dalle aspettative decrescenti, scrive Graziosi, “è rafforzata anche dalla crescita del timore e dall’ansia per la mobilità sociale verso il basso… negli Stati Uniti quasi il 60% dei bambini bianchi e più dell’80% di quelli nati in famiglie ricche sono destinati nel corso della vita a finire in gruppi sociali inferiori a quelli in cui sono cresciuti… in Italia la situazione era molto simile già negli anni Novanta, con circa il 60% dei membri nati nella borghesia che scivolavano nel corso della vita in gruppi sociali di livello inferiore”. Un mondo di vecchi; un mondo spaventato, impoverito e rancoroso.

Il quesito che Graziosi propone in primo luogo a sé stesso è aspro e arduo: come è possibile salvare Occidente e Modernità, il binomio che pur con tutti i suoi difetti è riuscito ad assicurare dignità e libertà a un numero incredibilmente grande di persone? Come è possibile salvare il progetto europeo, contrafforte fondamentale della Modernità Occidentale?

Nella foto in apertura, propaganda dell’American way estratto dalla foto World’s Highest Standard of Living scattata da Margaret Bourke-White (febbraio 1937 di Life Magazine)

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