La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento. C’è anche un etto del Titanic di De Gregori in Napoli-New York di Gabriele Salvatores, insieme a decine di altri ingredienti che ti stordiscono al punto da non capire più se il piatto finale è un mappazzone indigeribile o una genialata.
Il soggetto è di Fellini, scritto insieme a Tullio Pinelli negli anni Quaranta, ma va chiarito subito che del maestro, da un punto di vista squisitamente visivo, resta in eredità solo un mare immaginifico, enorme, iperbolico.
Per il resto, ogni perlina di questa collana è un cliché abusato: Celestina (Dea Lanzaro) e Carmine (Antonio Guerra) sono due figli di nessuno nelle macerie della Napoli violentata dalla Seconda Guerra mondiale. L’arte di arrangiarsi è battaglia feroce con altri ultimi come loro, in cerca di un tozzo di pane vendendo sigarette o barando a “mazzetto”, un gioco di carte nel quale sono consumati maestri.
I soldati statunitensi presidiano il porto e sono una terra promessa in stile America di Kafka, anche perché la sorella maggiore di Celestina ha già avuto la fortuna di emigrare sulle ali dell’amore per un militare made in Usa.
Scordiamoci l’accuratezza spietata alla John Huston, che dopo aver documentato la situazione italiana di quegli anni, nella sua autobiografia (John Huston-un libro aperto, La nave di Teseo) scriveva lucido: “Gli uomini e le donne di Napoli erano un popolo diseredato, affamato, disperato, disposto a fare di tutto per sopravvivere. L’anima della gente era stata stuprata, era veramente una città senza Dio”. Qui siamo invece dalle parti di una calligrafia in stile L’amica geniale, tra qualche anno bisognerà studiare quanto il destino di Napoli, eccezioni a parte, sia essere spolpata viva.
Tra i due bimbi c’è amore casto e oblativo, i vestiti laceri puzzano al massimo di costumisti che s’ispirano a C’era una volta in America.
Celestina e Carmine conoscono un cuoco di bordo nero (Omar Benson Miller) e per inseguirlo, s’imbarcano clandestinamente su una nave in partenza per New York, un Rex rivisitato. Sbuca Pierfrancesco Favino nelle vesti di Garofalo, commissario italiano dal cuore d’oro che tiene sotto controllo il comandante americano alcolista (Tomas Arana).
Dopo mille disavventure in mare, coi bambini adottati dall’equipaggio, ça va sans dire, s’arriva alla meta e come? Con l’apparizione tra la nebbia della Statua della Libertà. Anche in suolo americano, la ricetta non cambia: solo i neri sono solidali con gli italiani, considerati paria sociali – e questo è storia, viene citato anche il famoso passaggio dell’Ispettorato per l’Immigrazione, “Generalmente sono di piccola statura e pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché si tengono lo stesso vestito per molte settimane, si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. quando riescono ad avvicinarsi al centro, affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti”. New York è tentacolare, la folla colorata, i grattacieli mitologici, la cartellonistica pubblicitaria una promessa di benessere non mantenuta. Nei cinema, però, si proietta anche Paisà di Rossellini.
I due bambini nella Grande Mela si perdono; si scopre che Agnese (Claire Palazzo) la sorella di Celestina, ha passato brutti guai; che Garofalo ha una bella moglie (Anna Ammirati) che non può avere figli.
Passata la prima ora, a poco a poco non può non venire il sospetto che no, Salvatores non può certo essere impazzito come la maionese quando la giri male. Si è solo ispirato, col suo innegabile mestiere a quegli spettacoli fiabeschi e strappalacrime che venivano rappresentati in teatrini improvvisati per gli emigrati italoamericani – se ne vede uno anche nel Padrino parte seconda– è tutto studiato, al pubblico americano il film piacerà moltissimo, alle piattaforme anche, e quindi, vai di fazzoletto, ha ragione lui.
- Il film sarà nei cinema dal 21 novembre (Credit: Pietro Rizzato © 2023. www.pietrorizzato.com)