Quella mattina Gizon si è svegliato molto presto: vuole truccarsi bene. Anche meglio del solito.
Non gli piacciono i padroni della locanda: tra truffatori ci si riconosce subito. Solo il dottore sembra non accorgersi di quando qualcuno cerca di imbrogliarlo.
Gizon ha visto che la moglie del locandiere non gli ha mai tolto gli occhi di dosso, evidentemente lei sospetta che non sia davvero uno schiavo moro, come ha raccontato il dottore, dicendo che l’ha comprato in Egitto, quando è stato laggiù con Napoleone. Per questo oggi deve tingersi la faccia molto bene. E anche quel pezzetto di polso che rimane scoperto tra i guanti e la manica della sua colorata veste orientale, che lui stesso si è cucito, comprandosi dei tessuti di poco prezzo nel mercato di Baiona. E deve tingersi anche i polpacci. Oggi quei due lo scruteranno dalla testa ai piedi. Lo sa, lui farebbe lo stesso.
È stato uno sbaglio venire a Parigi: sono giorni che lo sta dicendo al dottore. Loro due devono rimanere in quei paesi di campagna, lì le loro truffe riescono sempre. E poi loro due sono davvero bravi, i migliori nel loro genere. Lui senza tingersi la faccia arriva in uno di quei paesi, si ferma nella locanda, parla con i contadini e in una giornata ha già saputo morte e miracoli di tutti, e poi getta lì che ha incontrato in una città vicina un dottore che ha dei rimedi miracolosi, che forse arriverà anche in quel paese. E qualche giorno dopo arrivano con il loro carretto e nessuno lo riconosce con la faccia tinta di nero, perché a quel punto tutti guardano il dottore e le sue preziose bottiglie. E si fanno sempre buoni affari, perché tutti vogliono essere giovani, tutti vogliono credere che il dottore abbia scoperto l’elisir che non fa invecchiare. Grazie alle sue informazioni, il dottore fa finta di sapere tutto, che una donna ha appena perso il marito o che un giovane fa la corte a quella ragazza. E loro si stupiscono e credono a ogni cosa loro dica.
Il dottore non vuol capire che una città è tutta un’altra questione. E poi una enorme come Parigi: lì ci sono dei truffatori professionisti. Anche più bravi di loro. Che il trucco dell’elisir lo conoscono già. Eppure il dottore non ha voluto sentire ragioni: si è convinto che solo a Parigi potrà guadagnare abbastanza soldi per ritirarsi. Il dottore sogna continuamente la truffa perfetta, quella che li sistemerà per sempre.
Anche Gizon vorrebbe smettere, è stanco anche lui di andare in giro così. Il suo piano però è diverso. Il dottore dovrebbe sposare una di quelle vedove che gli fanno gli occhi dolci quando arriva nei loro paesi. Nell’ultimo dove sono stati ce n’era una davvero bella, a cui il defunto marito ha lasciato una ricca proprietà, e non ha neppure figli. La vedova ha comprato dieci bottiglie di elisir. Ma se il dottore si fosse impegnato un po’, se non si fosse fissato con questa idea di Parigi, avrebbero potuto sistemarsi nella sua casa. Il dottore dice che non si possono fermare per più di una settimana, perché poi quelli che hanno comprato le bottiglie capiscono di essere stati truffati, ma non è così. Loro sanno che il dottore sta vendendo solo del vino, e di cattiva qualità, ma vogliono disperatamente credere di essere diventati più giovani. E la vedova, anche dopo un anno o due, continuerà a vedersi bella. E poi questa è anche giovane, su di lei l’effetto dell’elisir sarebbe durato anche più a lungo. E alla fine si sarebbe perfino affezionata a quel marito che ha sposato solo per accaparrarsi l’elisir. In fondo il dottore non è cattivo. Il suo piano avrebbe funzionato, mentre quello del dottore è destinato al fallimento. E adesso sono in balia di questa coppia di disonesti locandieri di Montfermail.
E come trattano quella bambina che deve correre da una camera all’altra a portare la biancheria e lavare i pavimenti: lei sì che sembra una schiava. Queste sono le cose che lo fanno arrabbiare.
Gizon ha finito di truccarsi, osserva il suo lavoro sul piccolo specchio della toletta, quando sente un leggero bussare alla porta. L’uomo controlla bene il suo viso prima di arrischiarsi a dire “avanti”: immagina sia la padrona che è venuto a spiarlo. È la bambina – Gizon pensa che abbia poco più di cinque anni – che lo guarda stupita, anche se non è certo il primo uomo dalla pelle scura che vede; poi gli dice che il dottore lo aspetta nella sua camera. L’uomo tira fuori una moneta, che ha rubato la sera prima a uno che stava seduto accanto a lui nel tavolaccio della locanda, e la porge con un fare cerimonioso alla bambina. E Cosette non capisce da dove sia spuntato quel piccolo fiore di carta che adesso quello strano uomo le sta regalando facendo un inchino. La bambina sorride: è buffo.
Quando Gizon entra nella camera del dottore, piccola e sudicia praticamente come la sua, anche se costa il doppio, il suo padrone è ancora a letto. “Finalmente, caro amico, entra, aiutami ad alzarmi. La fortuna sta girando. Ieri sera ho conosciuto un gran signore”.
“E cosa ci fa un gran signore in una stamberga come questa?”.
“Sei sempre il solito. I locandieri sono persone veramente degne e questa è una delle migliori stazioni di posta prima di Parigi. Comunque sia, questo signore è italiano e scrive opere, per lo più buffe, e sta andando a Parigi. Sembra che in Italia sia piuttosto famoso, mi ha detto che ha scritto un’opera su un barbiere. Io ho fatto finta di conoscerla; gli ho detto che ne ho sentito parlare durante i miei viaggi. Dice che potrebbe diventare il nuovo direttore della Comédie italianne. Lui preferirebbe non fermarsi qui in Francia e andare a Londra, ma a noi poco importa. Lo conoscerai, è un tipo davvero gioviale, gli piace stare a tavola e divertirsi. Ieri sera abbiamo mangiato del tacchino farcito: lui ne va matto e abbiamo bevuto tre bottiglie di bordò”.
“E chi ha pagato?”.
“Io naturalmente”.
“Con i nostri soldi, immagino. Non con i tuoi”.
“Stai tranquillo, li ho spesi bene. Considerali un investimento. Alla fine l’ho convinto che andremo a Parigi con lui. Là ci presenterà attrici e cantanti, e vedrai quante bottiglie di elisir riusciremo a vendere: questi teatranti vogliono rimanere sempre giovani. E poi potrebbe portarci anche a corte. Questa volta, caro Gizon, abbiamo pescato il biglietto vincente”.
“A corte? Ci arresteranno, come minimo. Capiranno subito che siamo dei ciarlatani. E poi sei sicuro che questo tuo nuovo amico non sia un imbroglione come noi? Ha mangiato e bevuto e poi se la squaglia: è la nostra specialità”.
“Credi mi possa sbagliare così? Non voglio più ascoltarti. Adesso vai dal suo servitore. Si chiama Antonio, viene da una città che si chiama Bologna. E chiedigli a che ora dobbiamo partire. Poi regola i conti con i signori Thénardier”. Gizon è davvero preoccupato. Il dottore questa volta li caccerà nei guai: questa mania di Parigi.
Cosette accompagna Gizon nelle camere dove ci sono gli italiani. Quando vede la stanza dove dorme Antonio, l’uomo dalla faccia tinta di nero pensa che forse il dottore non si è sbagliato. È luminosa ed è pulita: evidentemente questo musicista ha pagato in anticipo, a differenza di loro. Forse è davvero ricco. Ma Gizon non è ancora convinto: chi ha mai sentito parlare di un’opera su un barbiere?
A Gizon il servitore di questo signor Rossini sta davvero simpatico. Antonio parla un divertente miscuglio di francese, italiano e una lingua che il “moro” proprio non riconosce, anche se a volte suona un po’ francese. Antonio non riesce a pronunciare il nome Gizon, ma a lui non importa. “Caro Ghisòn, non ho idea di cosa abbia detto il Maestro al tuo dottore. Quando è tornato in camera io già dormivo e adesso lui ovviamente è ancora a letto. Ma temo che neppure lui sappia cosa ha detto ieri sera mentre era a tavola. O meglio lo sa, ma fa finta di non ricordarlo. Sono sicuro che il tuo padrone ricorda bene, e sicuramente ieri sera il Maestro era la persona più affabile del mondo, ma non ho proprio idea di come si sveglierà questa mattina. Tiene dietro alla luna il mio padrone. E socc’mel – Gizon non riesce a capire cosa significhi questa parola che Antonio ha già ripetuto un paio di volte – è una fatica lavorare per uno così. Poi dicono che è un genio, dicono che scrive della musica incredibile. Non lo so, ma io ti posso dire che ha davvero un pessimo carattere. Ma paga bene, questo lo devo riconoscere e adesso con lui posso girare il mondo. Per uno come me che è nato in via dei Vetturini è una gran cosa arrivare fino a Parigi e a Londra. E il tuo Dutåur che tipo è? È un uomo di legge? Sai a Bologna c’è una gran università da cui vengono i migliori dottori in legge del mondo. O un dottore che cura le malattie. Poi a Bologna ci sono anche i dottori che chiamano filosofi, ma io non ho mai capito a cosa servano quelli lì”.
“No, Dulcamara è un uomo di scienza. Crea elisir e pozioni. Ne ha inventata una che rende le donne più giovani e gli uomini più virili”.
“Più virili?”.
“Sì, più forti, là sotto”.
Adesso Antonio ha capito. E sorride. “Certo sarebbe utile fare il viaggio con il tuo dottore. Mi hanno detto che a Parigi ci sono le donne più belle del mondo”.
Gizon sorride al suo nuovo amico. “Ora vado, credo che il dottore abbia bisogno di me. Vedremo cosa dirà il Maestro quando si sveglierà”.
Uscendo dalla camera di Antonio, Gizon pensa che ancora una volta Dulcamara si sia fatto rubare dei soldi. In fondo al corridoio nota la signora Thénardier. Vorrebbe evitarla, ma capisce che tornare indietro desterebbe i sospetti della donna.
“Caro signor Gizon, spero che lei e il dottore abbiate dormito bene. Vi abbiamo riservato le nostre camere migliori”.
Gizon non sa immaginarsi come siano le peggiori, ma sorride alla donna, che non ha il solito sguardo cattivo.
“Ho saputo, signore, che ha regalato un fiore a Cosette”.
“Un fiore di carta, un piccolo gioco di prestigio per far sorridere la bambina”.
“Ha ragione: Cosette è una bambina, caro signore, anche se può sembrare più grande dei suoi anni. E non è nostra figlia, eppure, come lei stesso ha potuto vedere, noi la trattiamo come se lo fosse“.
E anche in questo caso Gizon non riesce a immaginare come la tratterebbero se non la considerassero una figlia. L’uomo non capisce cosa significhi quel discorso della locandiera, che gli appare esageratamente untuosa. Perfino per una come lei.
“Mio marito ed io ne siamo in qualche modo i tutori e curiamo i suoi interessi”.
Gizon crede di aver finalmente capito cosa la donna sta tentando di dirgli. E la cosa lo fa infuriare: gli stanno tentando di “vendere” Cosette. Quella parola, interesse, ha per una come la Thénardier un solo significato. Sa di non essere nella posizione per poter denunciare la donna, ma non vuole nemmeno lasciare Cosette in balia di quei due: prima o poi riusciranno a guadagnare soldi da quella bambina. E nel modo peggiore.
In qualche modo riesce ad allontanarsi dalla signora Thénardier, bofonchiando una parola di saluto. Sa che deve agire, ma sa anche di avere pochissimo tempo.
Mentre sta pensando, vede il dottore che in cortile parla con un signore che, dai vestiti, sembra anche lui in viaggio.
“Vieni Gizon, ho appena conosciuto questo squisito signore che viene dalla Provenza”. Poi quando è abbastanza vicino continua sussurrando: “Vai a prendere una bottiglia di elisir per il signore, quello che dà forza”.
Mentre Gizon si allontana, Dulcamara ricomincia a parlare con il suo nuovo “cliente”: “Non si pentirà dell’acquisto, signor Germont. Con il mio elisir farà una splendida figura quando arriverà a Parigi”.
Antonio conosce bene il suo padrone, sa cosa aspettarsi quando si sveglia alla mattina, specialmente dopo che la sera ha bevuto un po’ più del lecito. “Ghisòn, mi dispiace. Il Maestro dice che non ci pensa affatto a fare il viaggio verso Parigi insieme al tuo dottore. Dice che non è neppure sicuro che lo sia davvero un dottore. E comunque non ne vuole sapere. Te l’avevo detto di non farti troppe illusioni”.
Non è certo Gizon a essersi illuso e adesso immagina che sarà lui a sorbirsi i rimproveri di Dulcamara: come se fosse colpa sua. Se era per lui adesso erano a casa della vedova e si sarebbero risvegliati in un letto pulito e con una buona colazione.
“Se quell’italiano non vuole viaggiare con me peggio per lui. Gli avrei fatto fare una gran figura a Parigi. Non sa che occasione ha perduto di conoscere il bel mondo”. Gizon rimane colpito da questa reazione di Dulcamara. E anche un po’ preoccupato: il dottore ormai recita anche con lui, quando sono soli. Come se credesse a tutte le storie che si è inventato.
“Impara a fidarti delle persone, caro Gizon. E ora fammi andare a salutare l’amico Germont prima che parta per Parigi”.
Mentre Gizon scende per cercare la locandiera pensa che forse è arrivato il momento di lasciare Dulcamara. Lavorano insieme ormai da oltre trent’anni, da quando, poco più di ragazzi, hanno lasciato il loro villaggio nella Navarra per fare fortuna nel mondo. E il numero del dottore venditore di elisir e del suo servo moro è stato decisamente il migliore, quello che gli avrebbe permesso di chiudere in bellezza. E invece è quello che li dividerà. Gizon vuol bene a Dulcamara, è come un fratello, hanno passato insieme tanti momenti brutti, hanno fatto la fame, hanno rischiato più volte di morire, ma ne sono sempre venuti fuori. Insieme. Ma questa volta, no: lui non riesce più a seguire le pazzie del dottore. Stavolta è davvero finita.
Quando finalmente vede la locandiera, la donna sta, come al solito, rimproverando Cosette, che approfitta dell’arrivo dell’uomo per allontanarsi. “Come sta il nostro caro dottore?”.
“Io e mio marito siamo lieti che il dottore si trovi bene qui da noi. Gli dica pure che può continuare a essere nostro ospite per il tempo che gli è necessario. Troveremo senz’altro un accordo sulle spese di vitto e alloggio”.
Gizon si allontana pensando a quanto costerà quella sosta imprevista. Non basteranno un po’ di bottiglie di elisir vendute a qualche sciocco cliente a recuperare la spesa. Ha trovato sorprendentemente disponibile la signora. Probabilmente lei e il marito hanno già capito che lui e il dottore sono due truffatori e stanno pensando come guadagnarci. Gizon però ha bisogno di tempo: deve trovare il modo di salvare Dulcamara. E anche la piccola Cosette.
A Gizon non piace quell’uomo che è arrivato alla locanda. Lo stalliere gli ha detto che si tratta di un borghese rispettabile, il padrone di una fabbrica di bigiotteria e il sindaco di un paesotto vicino a Calais. Ma a Gizon questo non importa: ha visto come guarda Cosette. E questo lo preoccupa.
Sono ormai quattro giorni che sono fermi a Montfermeil, sono riusciti a vendere un paio di bottiglie, ma questo non basta a ripagare i Thénardier. Stanno intaccando i loro risparmi, ma Dulcamara non ne vuole sapere di andarsene. Adesso è Gizon che cerca di convincerlo di andare a Parigi, gli dice quanto deve essere bella la grande città. Eppure il dottore dice di aspettare.
Dulcamara trascorre molto tempo con un nuovo ospite della locanda, un letterato italiano, che si vanta di essere socio di varie accademie in giro per l’Europa e che sta cercando delle antichità. A Gizon sembra un truffatore, ma ormai a Dulcamara non importa quello che lui dice.
Il “moro” non perde mai di vista quel Monsieur Madeleine. Dopo pranzo l’ha visto parlare con Cosette e adesso è insieme ai due locandieri. Parlano piano, ma Gizon capisce che stanno discutendo. E proprio della bambina. Sente un nome, Fantine, che non gli dice nulla, ma capisce anche che quell’uomo pagherà millecinquecento franchi per Cosette e che partiranno insieme prima del tramonto. Sente una porta sbattere: evidentemente quella turpe trattativa è finita, anche se l’accordo non soddisfa i Thérnadier che continuano a litigare.
Gizon decide di agire. Ha meno di un’ora. Sa dove Dulcamara tiene i soldi che si sono impegnati a usare solo per le emergenze. Prenderà la sua parte: non basterà a ricomprare Cosette da quell’uomo, ma servirà a lui e alla bambina per fuggire dopo che l’avrà rapita. Vede il dottore parlare con quell’italiano, sale veloce le scale, apre lo scomparto segreto del loro baule e lo trova vuoto. Cerca il denaro affannosamente: sa che quei soldi c’erano, li ha visti prima di arrivare alla locanda. Controlla un altro scomparto: nulla. Deve affrontare Dulcamara: può averli presi soltanto lui.
È furioso, scende le scale, non si accorge nemmeno che nella foga il trucco si è rovinato. Lo capisce solo quando vede come lo sta osservando il professore italiano, che si allontana con una scusa. “Che ti prende? Vuoi farci scoprire? – anche Dulcamara è arrabbiato con il compagno – cerca di rimetterti in sesto e mi inventerò qualcosa con don Profondo”.
“Sapevo che ti saresti arrabbiato. È successo quello che avevi detto. E io sono stato uno stupido. Scusa”.
Gizon non sente neppure queste ultime parole del dottore. Deve fare un’altra cosa. Madeleine sta per partire: è la sua ultima occasione per salvare Cosette. Il cocchio è già pronto, il cavallo è stato attaccato, il garzone della locanda ha caricato i loro pochi bagagli. Gizon, nascosto da dietro il pozzo, li vede partire. Entra nella stalla, per fortuna non c’è nessuno. Afferra un coltello e sale su un cavallo. Passando per i campi lo può fermare.
Gizon ha ripreso la strada verso Parigi. Sa che il cocchio dell’uomo è più indietro. Deve trovare un luogo adatto per fare un’imboscata. Eccolo: è perfetto. Porta sulla strada un grosso ramo. Madeleine dovrà scendere per spostarlo e lui si potrà nascondere dietro quel masso. Ecco il cocchio. Si ferma. L’uomo scende, si piega per afferrare il ramo e Gizon è su di lui. Cominciano a lottare, mentre Cosette urla e piange. Quell’uomo è dannatamente forte: nonostante la sorpresa, riesce ad atterrare Gizon e gli strappa di mano il coltello.
“Va a dire ai Thénadier che non voglio essere fermato. Devono dimenticare Cosette e me. E noi proveremo a dimenticarci di loro”.
“Non mi mandano quei due. Io voglio salvare Cosette da loro e da te”.
L’uomo non capisce quelle parole, ma istintivamente lo fa alzare, sempre minacciandolo con il coltello. Solo adesso nota quel viso mezzo truccato, e il costume orientale: un tipo decisamente ridicolo. Non sembra un brigante da strada. Cosette ha smesso di piangere e, nonostante tutto, riconosce Gizon: “È il signore del fiore”. E sorride.
“Prima di venderla a te, hanno provato a farlo con me. E non voglio che a Cosette succeda qualcosa di brutto. Sono un truffatore, un ladro, ma quella bambina merita una vita diversa da quella a cui è destinata. E io voglio aiutarla. Costi quel che costi”.
“Non lo so. Immagino che andrò anch’io a Parigi. In fondo Dulcamara aveva ragione: per un imbroglione come me è meglio una grande città. Andate. Prenditi cura di lei. Addio Cosette”.
Gizon sente che lì vicino scorre un torrente: finalmente può togliersi quel trucco dalla faccia.
Nella foto di apertura, il manifeto di Les Miserables, il musical (part.)
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale, per saperne di più qui