«La Chiesa cattolica è stata l’organizzazione più rilevante che si è opposta all’antisemitismo nazifascista, alimentando una resistenza culturale e fattiva, prudente e coraggiosa a pari tempo, alla violenza dell’Olocausto. La Chiesa, dal Vaticano ai parroci, spesso in collaborazione con la Delasem (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei), non è stata silente o omissiva, né esitante. Sono moltissimi i casi di aiuto determinante alle famiglie ebree». Sergio Favretto, avvocato e saggista su temi giuridici e storici, (e collaboratore di Allonsanfan.it), sintetizza così i risultati del suo lavoro sul ruolo del mondo cattolico a sostegno degli ebrei perseguitati durante l’occupazione tedesca. Una ricerca a cui da tempo sta lavorando e che sarà pubblicata nel corso di quest’anno. Uno studio che promette rivelazioni importanti e inedite, che metterà in luce il ruolo della gerarchia ecclesiastica, a partire da Papa Pio XII. Lo storico ha recentemente preso parte, a Roma, al convegno intitolato A 80 anni dall’Olocausto. La diplomazia della Santa Sede in favore degli ebrei: il caso degli ungheresi. Promosso dall’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede, dal Sovrano Militare Ordine di Malta, dal Nazional Archives of Hungary, dall’Holocaust Budapest Memorial Center, dall’Archivio Apostolico Vaticano, dall’Archivium Romanum Socialitatis Iesu, il convegno ha visto, nella sessione a cui ha partecipato Favretto, anche gli interventi di Johan Ickx, direttore dell’Archivio Storico della Segreteria di Stato, e della docente Yagil Limore della Università Sorbonne di Parigi.
Sergio, da che cosa nasce la tua decisione di studiare un tema di cui – forse – non si è mai parlato abbastanza?
Da anni mi occupo della Resistenza in Piemonte e Liguria. Più volte mi sono imbattuto in documenti e testimonianze di ebrei nascosti e poi aiutati a fuggire in Svizzera da associazioni cattoliche, parroci e suore. Ho deciso di approfondire il tema: mi sono recato in Vaticano presso la Segreteria di Stato e ho consultato gli archivi in parte digitalizzati di vari istituti storici italiani e svizzeri. Ben sapendo che gli archivi ufficiali non restituiscono, specie in periodo bellico e con il nazifascismo imperante, tutte le notizie utili, ho scelto di esaminare alcune banche dati non consuete (come Memo4345 a Borgo San Dalmazzo), i documenti personali del cardinal Boetto a Genova, del cardinal Fossati a Torino, del cardinal Schuster a Milano. Ho potuto visionare e acquisire narrazioni inedite sulla rete ben organizzata che molte diocesi e arcidiocesi del nord e centro Italia hanno tessuto a sostegno degli ebrei su esplicito invito del Vaticano e di Pio XII. E ho consultato migliaia di documenti da pochi anni inventariati da istituti religiosi, parrocchie, organismi di volontariato: testimonianze di protagonisti di quel periodo storico; articoli e commenti apparsi su periodici e organi di stampa clandestini o pubblicati in Svizzera; messaggi di Radio Vaticana e comunicazioni dell’Ufficio Informazioni allestito da Pio XII. Non sono sufficienti gli archivi ufficiali, ma devono essere implementati da mille altre fonti, correlate e reciprocamente integrantisi. È necessaria una quota aggiuntiva di curiosità e capacità investigativa sui fatti, sulle persone, sulle ragioni degli accadimenti. Allora il mosaico storico è ricomposto più fedelmente.
Quali sono gli elementi inediti che emergono dalla tua ricerca?
Esaminando l’archivio Cardinal Boetto ho trovato copia della lettera che il cardinale inviò al capo della Provincia e prefetto Carlo Emanuele Basile il 16 novembre 1943. All’epoca il rabbino a Genova era Riccardo Pacifici, arrestato con altri ebrei dai tedeschi fra il 2 e 3 novembre. Boetto nella lettera è esplicito, parla di cattura e carcere in ragione della razza. Coniuga una ragione cristiana solidaristica e una ragione letterale-giuridica per chiedere la liberazione di Pacifici, citando gli articoli della legge 1159 del 24 giugno 1929. Il prefetto Basile risponde con una lettera di circostanza, debole, ma che fa trapelare la subordinazione di ogni possibile decisione al potere delle SS e del Comando tedesco. Pacifici venne trasferito nel carcere di Marassi, poi in quello di San Vittore di Milano. Da qui in treno al campo di Auschwitz, dove il 12 dicembre morì nella camera a gas. Boetto lo incontrò in carcere Marassi; successivamente il cappellano don Massa assicurò i contatti fra detenuti, ebrei e curia. Ho esaminato tutta questa significativa documentazione di carteggio.
C’è poi una seconda vicenda di grande rilevanza. Il banchiere-finanziere ebreo Angelo Donati e il cappuccino francese Père Marie-Benoit furono protagonisti di un’ampia azione di sostegno e salvataggio degli ebrei nel sud della Francia, fra Marsiglia e il confine italiano. Nel biennio 1942-1943 Donati sottrasse molti ebrei alla deportazione in Polonia e, collaborando con il Comitato di aiuto ai rifugiati di Nizza, ottenne visti, documenti e lasciapassare dalle autorità per salvarli. Collaborò con lui il padre cappuccino Père Marie-Benoit (da laico Pierre Péteul), soprannominato Le père des Juif, appartenente alla rete Delasem (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei) che operò dal 1939 al 1947. Nel primo semestre del 1943, Donati programmò il trasferimento di migliaia di ebrei dal sud della Francia verso la Palestina, in accordo con le autorità italiane, il Vaticano, le ambasciate inglese e americana, l’appoggio di Badoglio, con il coinvolgimento delle navi Duilio, Saturnia, Giulio Cesare e Vulcania della Marina Italiana. Père Marie-Benoit ottenne udienza con Pio XII il 16 luglio 1943, e qui illustrò il piano che fu però impedito dall’improvviso armistizio dell’8 settembre ’43 e dalla caccia a Donati avviata dalla Gestapo a Nizza. Sempre a Roma, Père Marie-Benoit coltivò i rapporti con il cardinale Luigi Maglione della Segreteria di Stato del Vaticano, sensibile agli orientamenti democratici europei. Ecco, dunque, una significativa conferma dell’iterazione fra mondo cattolico sul territorio e Santa Sede, con Pio XII ispiratore e sostenitore.
In quello che diventerà un libro metti in luce il ruolo di una rete che va da cardinali a istituti religiosi a molti laici cattolici antifascisti.
Esaminando i carteggi fra i cardinali Boetto, Fossati, Schuster, Della Costa, Piazza, Nasalli Rocca, fra molti vescovi e il team creato in Vaticano con Maglione, Montini (futuro Papa Paolo VI), Dell’Acqua, Tardini e i vari Nunzi apostolici (significativo il ruolo del nunzio Andrea Cassulo in Romania) sparsi nel mondo, emerge come vi fu una struttura a sostegno dell’impegno di solidarietà cattolica verso gli ebrei. Una ricerca più approfondita mette in luce poi come gli input chiari e ripetuti vennero dal Vaticano, dai vari cardinali, dai richiami del Papa. Non solo, venne alimentata la collaborazione fra le varie arcidiocesi, per ottenere notizie aggiornate, per aiutare le famiglie delle persone catturate, internate, per nascondere gli ebrei ricercati. Il Vaticano, con la Segreteria di Stato, diede il là a un’operazione di sostegno non rivendicata e declamata, ma molto efficace. L’unica possibile contro il nazifascismo. In questa direzione di studio e ricerca si collocano le ultime risultanze raccolte e pubblicate dallo storico Johan Ickx. In tutto il nord Italia occupato da tedeschi e fascisti della RSI, avrebbero dovuto giungere le comunicazioni dell’Ufficio Informazioni del Vaticano. Ma ci furono difficoltà anche tecniche e non sempre questo accadde. Così ebbero campo obbligato e libero i vari arcivescovi e cardinali che, in autonomia, decisero gli interventi a difesa degli ebrei. Nell’archivio Cardinal Boetto vi sono molte copie e minute di lettere, di messaggi da Boetto verso Fossati, verso G.B. Nasalli Rocca, verso Idelfonso Schuster e Adeodato Piazza, a testimonianza di un collegamento operativo su molti temi, compreso quello delle severe misure razziste. Cardinali e vescovi, semplici parroci e laici cattolici si mossero poi autonomamente a rischio evidente. Vi fu, quindi, una prima rete informativa segreta, di collegamento; poi una rete più operativa, di soccorso e aiuto.
Nella tua ricerca chiarisci e approfondisci il ruolo di Papa Pio XII.
Studi anche recenti restituiscono un Pio XII realista e prudente, ma coraggioso e impegnato per la libertà nel pieno della bufera creata dalla guerra e dall’Olocausto. La figura di un Pio XII esitante o compromesso, debole contro il nazifascismo, non è storia. È stata ed è propaganda di alcuni ambienti internazionali o di indirizzi interpretativi autoreferenziali. Pio XII, i cardinali e nunzi apostolici, i vescovi e il mondo cattolico crearono una rete coraggiosa di soccorso agli ebrei. Presso la Segreteria di Stato operava un’équipe ben connessa con le varie sedi diplomatiche vaticane, dove le informazioni giungevano e si diramavano. Una vera e propria resistenza cattolica all’antisemitismo nazifascista. Ed ancora, questo ruolo di concreta resistenza emerge nella documentazione di molti esponenti dell’Azione Cattolica, della Resistenza e del CLNAI, del volontariato cattolico, dei parroci di periferia, e negli archivi di Ordini religiosi e storici. Pagine non cancellabili.
Anche Radio Vaticana ha avuto un ruolo?
Certamente, e non marginale. La diffusione a livello internazionale di Radio Vaticana e la presenza della rete dell’Ufficio Informazioni della Santa Sede nei vari Stati belligeranti, la loro integrazione o supplenza, hanno costituito carte validissime per fronteggiare la violenza dell’antisemitismo nazifascista. Le trasmissioni di Radio Vaticana, le traduzioni e il rilancio di alcuni messaggi in lingua inglese, giunsero anche alle gerarchie militari alleate. Presso gli Archivi dell’OSS-Office of Strategic Services di Washington, si possono rinvenire tracce e documenti di questa attività informativa. Radio Vaticana fu, non solo testimonianza di fede e di difesa dell’umanesimo offeso dalla guerra, ma anche riscatto delle coscienze e collante per una resistenza coraggiosa al fascismo, al nazismo, ad ogni dittatura.
Perché per molti anni si è accusata la Santa Sede di rimanere silente e inerte di fronte all’Olocausto?
Accanto alle evidenti tensioni polemiche, anche dovute al periodo della guerra fredda, per alcuni anni vi è stata l’incomprensione documentale e storica della realtà della Chiesa cattolica, della sua organizzazione e funzione anche nei momenti difficili della guerra e dell’Olocausto. Ci sono elementi fondamentali che sono stati per molto tempo trascurati. La Santa Sede e la Chiesa cattolica erano, e sono, soggetti non politico-istituzionali. La Santa Sede non era membro della Società delle Nazioni, non divenne membro effettivo dell’ONU ma solo membro osservatore; la Chiesa coltivò unicamente rapporti bilaterali con i governi dei vari Paesi interessati dalla sua presenza. Da qui il ruolo dei nunzi e dei delegati pontifici, dei cardinali e vescovi presenti sui territori. Non vi era per la Santa Sede un ruolo riconosciuto a livello centrale e a riflesso politico internazionale. La sua autorevolezza risiedeva nella caratterizzazione religiosa e umanitaria, nella moralità dei messaggi e nelle prerogative ispiratrici sociali. L’aspetto verticistico e piramidale che connotava la Chiesa cattolica e il governo della Santa Sede si tradusse anche nel dispiegarsi delle iniziative pro-ebrei. Le varie specificità e sensibilità territoriali sui temi della tolleranza, dell’avversione alla guerra, del rispetto delle altre religioni, della garanzia delle differenti culture, trovarono sintesi e governo nella Santa Sede e poi trasmissione a raggiera sui diversi territori. Per dati complessivi, per coraggio nell’esecuzione di vari interventi, per coinvolgimento di esponenti apicali e di semplici cittadini, la Chiesa cattolica si è rivelata il soggetto più dinamico e concludente negli aiuti agli ebrei. Ciò avvenne in tutta Europa, molto in Francia e Italia. Si deve certamente parlare di una resistenza attiva alla follia nazifascista antiebrea, che vide alleati Pio XII, un team di cardinali e vescovi, l’informazione di Radio Vaticana, del centro Cattolico radiofonico, dell’Osservatore Romano e dell’Osservatore della Domenica.
Non è affatto corretto, dal punto di vista della metodologia storiografica, mescolare in modo indistinto approcci e considerazioni teologici, antropologici e sociologici ai rigorosi criteri di ricostruzione dei fatti e dei contesti temporali. Non si possono chiedere alla Chiesa, soggetto multiforme ma sempre fondamentalmente religioso, scelte e decisioni politiche, interventi esulanti le competenze umane e solidaristiche a ispirazione religiosa. Così anche l’imparzialità istituzionale e diplomatica della Santa Sede nel conflitto bellico fu un ruolo obbligato, per natura e competenza, ma costituì, in parallelo, il presupposto unico per poter svolgere, sotto traccia e in modo efficace, l’ampia attività di sostegno e difesa degli ebrei. Un diverso atteggiamento non sarebbe stato possibile, avrebbe impedito e vanificato ogni impegno, se non causare riflessi più violenti ancora da parte del regime nazista, come avvenne in Polonia e Germania, Olanda.
È un assurdo storico affermare che la Santa Sede restò silente e inerte a fronte della tragedia dell’Olocausto, perché fu proprio la Santa Sede ad attuare una resistenza attiva, non omissiva o esitante, a favore degli ebrei, superando anche retaggi culturali e teologici antigiudaici o timori di compromissione.
La chiesa, il Vaticano, i cattolici pagarono un prezzo altissimo a causa della violenza nazista.
La Chiesa cattolica e il Vaticano furono certamente vittime della violenza nazista in Polonia, in Germania, in Olanda, in Belgio, in parte della Francia, in Austria e in Italia. Man mano che avanzava l’occupazione tedesca, i campi di concentramento si riempivano anche di cattolici e sacerdoti, come avvenne a Dachau. Un paio di esempi. Monsignore Vincenzo Barale, segretario del cardinal Fossati, nonostante le avvertenze sempre avute per celare l’attività pro-ebrei, venne arrestato con altri cinque sacerdoti il 3 agosto 1944. Padre Giuseppe Girotti, biblista domenicano, venne catturato a Torino il 29 agosto 1944 per aver ospitato molti ebrei nel convento di San Domenico di Carmagnola. Fu portato alle Nuove di Torino, poi a San Vittore a Milano, poi a Bolzano, infine a Dachau dove morì il 1 aprile 1945. A Dachau trovarono la morte circa 1.500 preti e esponenti religiosi, parte dei 5.545 complessivi deceduti in tutti i lager nazisti. Ancora in Italia, Placido Cortese, a Padova, frate francescano conventuale, dopo l’8 settembre 1943, si occupò dei militari italiani sbandati, dei soldati inglesi sfuggiti alla cattura, ma soprattutto degli ebrei ricercati dai nazifascisti. Collaborò con l’organizzazione resistenziale FraMa, fondata e diretta da Ezio Franceschini e Concetto Marchesi, organizzazione che attuò molti transiti di ebrei in Svizzera. Nell’ottobre del 1944 fu catturato e condotto a Trieste, nel bunker della Gestapo presso la Risiera di San Sabba, dove venne torturato a morte senza ottenere alcun nome o confessione. Venne arso nei forni nazifascisti.
Nel tuo libro riporterai numerose testimonianze. Me ne indichi almeno tre?
Quella della giornalista cattolica e antifascista Anna Rosa Gallesio Girola: “…Lavoravo da un anno alla redazione torinese del quotidiano cattolico L’Italia, quando un giorno mi mandò a chiamare monsignor Vincenzo Barale, segretario del cardinale di Torino. Andai nel suo studio in Arcivescovado. Era un uomo di assoluta fiducia del cardinale Maurilio Fossati. Mi disse che bisognava salvare gli ebrei dalla deportazione. Mi lasciò intendere che l’iniziativa era partita dal Vaticano. Ne ebbi poi molte conferme. Oltre agli ebrei mi disse che bisognava aiutare i partigiani ricercati o catturati. In quel primo incontro monsignor Barale mi disse di presentarmi alla Curia milanese per ritirare dei documenti, cosa che feci altre volte. Erano carte di identità false da dare agli ebrei per sottrarli alla cattura dei tedeschi e dei fascisti. Andai a Milano in treno, un viaggio avventuroso… la linea era bombardata. Fui ricevuta da un sacerdote che mi consegnò un plico che portai a Torino… Ebbi paura, ma era una cosa che si doveva fare… le carte di identità provenivano da piccoli Comuni dove evidentemente c’erano impiegati che collaboravano con noi… I miei referenti per molte operazioni furono, oltre che all’arcivescovado di Torino, in quelli di Milano e di Genova… Per salvare gli ebrei cercavamo luoghi dove nasconderli: parrocchie, istituti o conventi… Andai anche all’arcivescovado di Genova. Ricordo un viaggio, era in capodanno del 1944. Mi ricevette monsignor Siri. Mi dette un pacco di documenti falsi, le solite carte di identità contraffatte”.
Ed ancora furono don Francesco Brondello, viceparroco di Valdieri e don Raimondo Viale, parroco di Borgo San Dalmazzo, ad assicurare i primi aiuti agli ebrei, nascosti in parte nella caserma degli alpini di Borgo San Dalmazzo, in altra parte in varie cascine a abitazioni. I due sacerdoti si collegarono subito con il cardinal Fossati, con la DELASEM di Torino e Genova. Lo scrittore Nuto Revelli, nel suo Il prete giusto, dedica pagine intere alla coraggiosa attività di don Viale a sostegno delle famiglie ebree.
L’ebrea Paola Sacerdote Pinchet ha bene ricordato, in una intervista rilasciata nel 2022, i mesi trascorsi nascosta nella canonica di Isolengo, in pieno Monferrato, con il parroco Don Giovanni Sisto e con don Valentino Verrua. Qui, per parecchi giorni, venne nascosto in soffitta anche un ufficiale inglese erratamente paracadutato nell’orto della canonica. Per settimane rimasero nascosti una bambina ebrea e un militare inglese della missione del SOE. La famiglia raggiunse poi la Svizzera, dopo alcuni mesi, grazie all’aiuto di Giuseppe Brusasca, membro del CLNAI.
Sergio, una domanda a margine. Cosa pensi di quello che viene definito aumento dell’antisemitismo a seguito della guerra in Medio Oriente?
Come sempre, nelle mie ricerche vi è un filo rosso sotteso: la memoria e la corretta ricostruzione storica ci devono far capire e gestire il presente. Gli ebrei, con le persecuzioni e l’Olocausto, vissero anni drammatici, il nazifascismo ha costruito una violenza inaudita contro l’uomo e la sua dignità. Il mondo cattolico, presente nei vari territori, si espose e sostenne gli ebrei nella ricerca della vita e della libertà: dal Vaticano ai vescovi e nunzi apostolici, da semplici contadini alle associazioni di volontariato, dai parroci agli istituti religiosi. Migliaia sono i cattolici riconosciuti Giusti fra le Nazioni dall’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme. Oggi gli ebrei devono farsi parte attiva per ristabilire la pace in Palestina e Medio Oriente. Non c’è spazio per forme di nuovo antisemitismo, come non vi deve essere spazio per vendette o ostracismi fra popoli e per nuovi genocidi, come denunciano spesso Papa Francesco e molti ambienti istituzionali. Il primato della dignità umana e della libertà deve prevalere.
- Foto in apertura: l’intervento di Sergio Favretto nel corso del convegno A 80 anni dall’Olocausto. La diplomazia della Santa Sede in favore degli ebrei: il caso degli ungheresi.