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Némirovsky. Il carnevale di Nizza e altri racconti come in un film

Mi è capitato, alcuni anni fa, di visitare al Musée Masséna la mostra Nice, Cinémapolis, che celebrava il legame tra Nizza e la settima arte. Mi avevano colpito le immagini girate nel 1896 dai fratelli Lumière durante il Carnevale, insieme ad altre scene di folla sulla Promenade des Anglais risalenti ai primi del Novecento. Mi sembrarono, allora, inquietanti (strazianti), come se assistessi a un giro di giostra di spettri: erano immagini di uomini e donne da lungo tempo decedute che parevano già allora pronte a varcare la soglia del nulla, aiutate dallo slavato bianco e nero della pellicola e dai movimenti meccanici e innaturali tipici delle vecchie proiezioni.

Mi sono venute in mente quelle immagini, e quella sensazione stupita e dolorosa di perdita, leggendo la raccolta di racconti di Irène Némirovsky, Il carnevale di Nizza (Adelphi), che ne riunisce tra le altre prove giovanili eppure già mature.

Non è solo il titolo, né l’allure cinematografica di alcune pagine, molto visive e scritte a mo’ di sceneggiatura, che mi hanno ricordato le maschere dei Lumière e il gran circo del milieu aristocratico di inizio secolo scorso. È stato quasi automatico collegare il “carnevale artistico” di questa incredibile scrittrice russo francese alla scomparsa di un mondo, del suo mondo – o meglio addirittura dei due mondi in cui ha vissuto, come purtroppo deciderà la crudeltà degli uomini e della storia.

Di perdite e di vividi fantasmi dell’infanzia ci parla per esempio uno dei primi racconti – qui restaurato dai tagli del giornale Le Matin dove apparve nel 1924, per tramite di Colette. La Njanja è la storia di una vecchia tata che, emigrata a Parigi con i padroni, conserva in sé il ricordo della Russia spazzata via dalla Rivoluzione. È una Russia che muore davvero, come gli alberi secolari nei parchi delle antiche dimore nobiliari, soltanto quando muore la njanja, esule e spaesata, investita da un taxi, senza aver più visto cadere la neve tanto amata. Ma la Francia, come è noto, purtroppo non si rivelerà ospitale e sicura neanche per Irène.

I racconti de Il carnevale di Nizza si aprono con brevi pezzi di intento satirico, in forma di sketch teatrale. Protagonista l’attricetta Nonoche, ragazza svelta e impertinente, a caccia di qualcuno che la mantenga in una Parigi popolata di cartomanti e ballerine, dove si va a spasso per il Louvre solo per mettersi alla pari con l’amante pittore e dove al cinema si ama e si sogna. E infatti: nella raccolta, curata da Teresa Lussone, brillano anche modernissimi testi scritti in velocità, con cambi di tempo e inquadratura, indicazioni di flashback e primi piani, alla stregua di tracce per un possibile film, i quali testi (che peccato!) non riscossero il successo sperato. Ma Némirovsky ha molte frecce al suo arco, tra cui, come provano le fulminanti avventure di Nanoche e le narrazioni tipo scénario, spiccano la virtuosistica capacità di concentrazione e l’infallibile senso della misura necessari alla pratica del racconto.

E poi: Némirovsky usa teatro e cinema, al di là di una esigenza pratica, perché sa che la vita può essere “precaria come una scenografia traballante, sul punto di crollare per rivelare chissà quale abisso” – così in Fraternità, dove riprende una metafora già spesa, con tutto il suo portato di minaccia, ne Le rive felici. 

Sono semplici e forti i temi di Némirovsky in questi titoli che arrivano fino al 1937 e corrono dunque paralleli ai più famosi romanzi (David Golder è del 1929). Li enumera Lussone nella breve ma utilissima nota finale: la felicità perduta che si configura come un rimpianto (sentimentale) per la vecchia Russia… Il senso vivo e pungente per le occasioni mancate e il dispetto per le esistenze buttate via, non vissute appieno… La morte che fa tutt’uno con il dimenticare… L’ipocrisia borghese che nasconde il più feroce egoismo – e per borghesia intendiamo qui, come sovente in Némirovsky, una élite industriale, finanziaria e politica di apparenti vincenti … E poi ancora: l’assimilazione che pare impossibile, a dispetto dello scorrere delle generazioni… Temi che ricorrono nelle pagine di Némirovsky fino al capolavoro, il grande romanzo che scrive “per passare il tempo” nella Francia nazista, quando Iréne è già sicura che verrà pubblicato postumo: Suite Francese, scoperto casualmente solo agli inizi del duemila e edito nel 2004, coincide con la deportazione. Némirovsky viene arrestata il 13 luglio del 1942 e perde così anche il suo secondo mondo: muore a 39 anni, un mese dopo, ad Auschwitz.

I racconti de Il carnevale di Nizza hanno il grande pregio di riportarla per più di un attimo in vita e al meglio del suo fascino, elegantissima e sensibile, ispirata e scaltra nella qualità insieme sofisticata e popolare (sinonimo di avvincente) della sua scrittura.

Di Irène Némirovsky abbiamo già parlato qui a proposito della prima parte di Suite Francese, Tempesta di giugno

A margine Mescolati in varia maniera, i racconti di Némirovsky sono reperibili in diverse edizioni italiane: Mondadori (aperti dalla novella Il ballo), Garzanti, Theoria e naturalmente Adelphi (L’Orchessa e Film parlato), che ha iniziato a pubblicarla nel 2005 e lavora sull’ultima lezione francese delle opere. Questo affollamento provoca un’indubbia confusione, ma è forse una eco di come Némirovsky scrive e pubblica in vita, disordinatamente, vendendo alle riviste, comprese quelle destrorse e razziste che la considerano un’ebrea “frequentabile” – Gringoire la accoglie fino al 1942 seppure sotto pseudonimo. Infatti: Némirovsky deve risolvere materialissimi problemi, almeno prima del contratto del 1934, che la lega a Albin Michel e le consente di guadagnare più del marito impiegato in banca. Un sollievo momentaneo. Questa esigenza, unita al drammatico epilogo della sua esistenza, si riverbera sul disordine postumo cui sono destinate le sue carte, e non può che rendere questa fuoriclasse della narrazione, se fosse possibile, ancora più umana.

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