Qualcuno di noi di Pietro Grossi, fiorentino, classe 1978, è un racconto da zero a trenta (anni del protagonista), all’apparenza abbastanza autobiografico – il grande romanzo di 500 pagine come somma delle esperienze del narratore, infine metabolizzate in letteratura.
Rispetto agli innumerevoli romanzi di formazione su adolescenti cresciuti nelle ultime decadi del Secolo Breve, Qualcuno di noi ha un segno distintivo, formale e di contenuto. È la trovata di volgere la storia in prima persona plurale – una sorta di “io contengo moltitudini” che ingenera dapprima e poi di continuo l’impressione che a raccontare non sia un individuo singolo per quanto dalla personalità sfaccettata, ma una coppia di gemelli o un paio di amici del cuore o più persone…
L’adolescente al plurale di Grossi ha altre singolarità: nasce sì nelle ville delle colline di Firenze ma per quanto si vede dello sfondo geografico e sociale, ben presto disinvoltamente internazionale, potrebbe abitare ovunque; vanta il coraggio incosciente dei rebels che fanno parte per loro non dando mai retta a mamma e papà (niente vecchio complesso di Edipo qui); non usufruisce di una trama ma procede in progress per semplice accumulo di vicende, crescendo e diventando un uomo innamorato e un tormentato giovane scrittore.
Ricco e influente di famiglia e quindi senza limiti pratici all’orizzonte, il personaggio plurale e senza nome esibisce all’esordio una certa legnosità moraviana, nel farsi e nel farci di passaggio la lezione di vita.
Quasi volesse comprendere nell’abbraccio del “noi”, così programmatico da comparire anche nel titolo, proprio “tutti noi” – che sia questo il significato dell’espediente di Grossi? -, narrando una storia personale che ammicca a un universale letterario, fin dai primi gironi dell’esistenza.
L’intento del protagonista (e di Grossi) sembra da principio quello di sperimentare, in modo consapevole e in una sorta di combattimento esistenziale, i pregi e i limiti della condizione umana, affrontando più o meno lucidamente il gran ballo della menzogna, le qualità e i vizi da immolare alle necessità del mondo, e il vaglio della reale consistenza del corpo e dell’anima…
Prima che prenda la svolta di vivere nella “verità”, la via verso la luce dell’anonimo protagonista comprende capitoli impiantati sulle palestre di kick boxing e negli ospedali del dolore fisico, quelli dedicati alle allegre avventure come una traversata atlantica o quelli del primo lutto, la perdita – già finta da ragazzino per acquistare crediti con gli altri – di un amico suicida, passando per l’assunzione delle droghe più sintetiche o mitiche in circolazione, che portano sulla soglia di un deserto messicano.
La stagione della “verità” dovrebbe essere più divertente e forse meno irrigidita della precedente, tra scuola di scrittura a Torino e stage di cinema a New York, che interrompono una vita da skipper ai Caraibi, quando “noi” è protetto da feticci culturali assortiti evocati passo dopo passo – di sicuro nel carnet del neo scrittore il quale ha subito precocemente l’appeal di Moby Dick ci sono moltissimi romanzi americani, da Fitzgerald a Easton Ellis.
Invece, la costruzione di un futuro possibile, procedendo a sbalzi e nei tentativi di chi vive in un eterno presente di disincanto, rischia di produrre una lunga fila di poco ispirate pagine di stallo. Forse Grossi e il suo “noi”, all’apparenza smagati, hanno troppa fiducia che la dea letteratura gli tenga insieme il libro e che li recluti entrambi tra gli eletti, per esempio quando scrivono ingenuamente che New York “è una città che si muove verso il cielo” (d’accordo, è banale, ma lo fanno in una lettera a una ragazza che li intriga, a pag. 192), salvo poi sentirsi quasi rassicurati nella loro vocazione poiché gli è apparsa la Storia con la maiuscola addì 11 settembre 2001 proprio quando erano nella Grande Mela…
Insomma, rispetto alla partenza molto alta il Bildungsroman viene a assomigliare a un ennesimo memoir di predestinati disoccupati – tutta la ricerca di lavoro a Milano come copywriter è un lungo sbadiglio.
Colpisce, me ne accorgo all’improvviso, che nel testo non compaia neanche un briciolo di ironia o di autoironia, qualità di cui davvero non si avverte traccia. Idem dell’opposto dell’ironia, il poetico lirismo, secondo assente, e questo per fortuna. È forse confinato nell’ispirata aletta di copertina: “Ambizioso, spazioso, tropicale e selvaggio, Qualcuno di noi è l’opera matura di uno dei più grandi scrittori italiani, finalmente davanti alla cruciale occasione di visitare se stesso e di accompagnarci tutti dentro un abisso in cui si gioca senza regole, sul ciglio del nonsenso”.
Allora, forse suggestionato del “nonsenso”, mi accorgo che molti dei singoli capitoli si potrebbero staccare e leggere come racconti. Per esempio, l’episodio da timorato esule in un Mexico alla Carlos Castaneda. Non per caso rimandano al primo Grossi, quello breve e efficace di Pugni e di Martini (entrambi editi da Sellerio). Ah, io mi sono impiantato attorno a pag. 350, ditemi voi.
Il libro Qualcuno di noi, Pietro Grossi, Mondadori (credit: PS001662 by LREmpoli is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.)