“Il volo è fatto di dettagli, come la scrittura” dice Daniele Del Giudice. L’amico Roberto Ferrucci, che ne scrive ne Il mondo che ha fatto (La nave di Teseo), ritrae Del Giudice esperto pilota alle prese con i comandi di un piccolo aereo, come se sedesse alla macchina da scrivere, la prima è stata una Underwood (o era una Remington?).
Ferrucci, più giovane di Del Giudice di 11 anni, scrittore anch’egli e folgorato nel suo cammino di studente dalla lettura de Lo stadio di Wimbledon, ha scritto un memoir dove ricompone meticolosamente, ma anche divagando e “passeggiando”, i tasselli di una lunga amicizia.
L’amicizia ha per sfondo Venezia, dove i due abitano, e termina dopo 36 anni con la morte di Del Giudice nel 2021 o in un certo senso finisce dieci anni prima. Ma Ferrucci non si arrende all’evidenza e anzi s’impegna a lungo, e lo racconta in queste pagine, per non perdere e per comprendere Del Giudice enigmatico malato, costretto da una malattia neurodegenerativa a un definitivo ritiro dal mondo. Sessantunenne, viene ricoverato in una residenza protetta alla Giudecca, dove Ferrucci, più simile a un fratello minore che a un Carl Seelig, gli fa spesso visita.
Di Venezia, Del Giudice conosceva le calli “sconte” (nascoste) che corrono appena discoste dagli itinerari intasati dai turisti; vedeva una Venezia opposta a quella ereditata da Thomas Mann, decadente e funebre, una città fatta di luce e di cui basta conoscere la luce per distinguerne i sestieri – Del Giudice è uno scrittore che si definisce nello sguardo oltre che nel movimento, nel viaggio, e il memoir di Ferrucci è tanto più interessante quanto più scopre identità e parentele letterarie di un autore molto poco incline all’autobiografismo e di cui l’amico non tradisce (quasi) mai la confidenza.
Leggo veloce i capitoli del volo aereo su Trieste, ricordando un certo Ettore Schmizt e Il Piccolo Principe, o lo sconfinamento nella Jugoslavia della guerra, mi segno i libri fondamentali per Del Giudice, quando ne fa l’elenco per la tesi di Ferrucci, mai finita, su Calvino – i saggi di Kundera e di Handke, e poi James e Borges, Butor e Blanchot, certo, cui si aggiunge a fine lista il meno prevedibile Nessun giorno senza una riga di Jurij Oleša, che per Del Giudice condensa l’esperienza di scrivere nel tempo (la lista è a pag. 220).
Mi colpiscono i sodalizi, con Antonio Tabucchi per esempio, o gli incontri, come quello con Wenders sul quale Del Giudice coglie l’influenza di Caspar Friedrich prima del debito con qualsiasi americano, e poi l’esperienza di Fondamenta che per un attimo porta in pubblico la solitudine dello scrittore, oppure il paradosso di In questa luce (Einaudi), singolare libro postumo di un autore ancora vivo, che un giorno Ferrucci porta all’amico recluso alla Giudecca.
Sempre e non a caso si nomina la luce: “Nominare, descrivere – quando diciamo bottiglia o cravatta o nuvola – è come fare un piccolo cono di luce, che porta immediatamente con sé una parte d’ombra, l’ombra di ogni parola” (da In questa luce).
Sempre lo sguardo: quante volte Ferrucci descrive fisicamente Del Giudice nell’atto di guardare un’immagine o di leggere una pagina, sollevati gli occhiali, il foglio portato al giusto punto di fuoco per un uomo presbite. È un gesto simile e contrario a quello che compie il narratore de Lo stadio di Wimbledon, quando inaspettatamente, nella casa dei sestanti, la donna gli porge una fotografia e dice “Eccolo, Bobi” (pag. 39, Einaudi, 1983).
Il narratore allontana la fotografia da sé, finge di guardarla e fissa invece un punto astratto fuori dalla cornice – userà un’identica strategia con alcune immagini dell’album di Gerti. Ma qui siamo da un’altra parte, siamo in un romanzo che mescola a suo modo, in un bilanciamento studiatissimo, la presunta oggettività di un’indagine e la soggettività di chi cerca…
Ferrucci rende Il mondo che ha fatto più di un omaggio. Estraendo con rispettosa cautela – rispettosa anche verso i propri sentimenti – e capacità di analisi i suoi ricordi dal magma del passato e insieme affrancandoli dalla loro insignificanza, fa a sua volta “letteratura”, tra romanzo autobiografico e saggio su vita e opere dell’amico. Per parlare chiaro ed evitare equivoci: se temete un eccesso di patetico, potreste essere infastiditi da alcuni episodi narrati; se invece prevedete che l’ego di Ferrucci travalichi e, pur nella lode, lo piazzi involontariamente sulle spalle del gigante, questo non accade.
Nel libro si torna spesso a Lo stadio di Wimbledon, apparso appunto nel 1983, e tra l’altro portato poi coraggiosamente sullo schermo da Mathieu Amalric. È il romanzo dedicato a Bobi Bazlen, eccentrica figura di letterato, e sulla ricerca del perché non ha mai scritto libri: “bisognava attraversare quel deserto per rimettere in moto il fare della narrazione” spiega Del Giudice a Ferrucci, in una delle numerose interviste concesse all’amico i cui virgolettati nutrono il memoir.
Lo stadio di Wimbledon: poco più di cento pagine, senza personaggi romanzeschi, ma animato da persone apparentemente reali, seppure attraversate dalla letteratura. Due donne, una a Trieste, l’altra in Inghilterra, Gerti e Ljuba, note per due poesie de Le occasioni di Montale…
Quando uscì con successo, anche grazie a una quarta di copertina opera di Italo Calvino, Lo stadio di Wimbledon contribuì al lancio mediatico e un po’ modaiolo dei “nuovi narratori italiani”: primi tra gli altri, De Carlo, anch’egli apprezzato da Calvino, Tondelli e Tabucchi. È dal principio, dalla domanda se Lo stadio di Wimbledon segni una “ripresa del romanzo di iniziazione” oppure “un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto, secondo un nuovo sistema di coordinate” (sempre Calvino) che ricomincerò a leggere la prosa severamente controllata e “faticosa” (per lui) di Del Giudice, sapendo che “il vero comportamento che c’è nei libri è il comportamento di fronte alla forma. Il comportamento stesso di qualcuno che scrive” (pag. 117 de Lo stadio). Lo farò una volta chiuso Il mondo che ha fatto di Ferrucci (o di Ferrucci-Del Giudice?).
Il disegno della cover è di Tullio Pericoli. Abbiamo già scritto di Daniele Del Giudice qui