La prima volta che ho ascoltato la voce di Marta Colombo, cantante e compositrice, ho pensato che oltre a essere davvero bella avesse una qualità particolare: è una voce che riesce a farsi spazio e a creare volume. Non è solo una questione di attenzione che sa richiamare, è proprio un’energia capace di generare una sorta di vuoto intorno all’ascoltatore, uno spazio libero, sensibile, nel quale ci si sente accolti.
La circostanza che mi ha permesso di incontrare, seppur nella distanza, Marta Colombo è stata la registrazione del primo episodio di United sounds in the dark _ Pink Rope, spin off tutto femminile di un progetto nato durante il lockdown da idee ed esigenze condivise dai musicisti Irina Solinas e Davide Santi, dall’art director Silvia Re e da me. Il desiderio di suonare insieme nonostante l’isolamento ci ha portati a sperimentare l’improvvisazione nonostante ognuno fosse lontano dall’altro.
Il desiderio di ascoltare musica facendone parte senza essere solo spettatori esterni, sollecitati da uno schermo ancor prima che da una sonorità, ci ha portati a ricercare una forma visivamente silenziosa d’ascolto.
È così abbiamo immaginato e cercato il buio. Buio per i musicisti, che senza vedersi si ritrovano a suonare insieme in uno spazio virtuale, e buio per gli ascoltatori che, guidati da una breve animazione nella quale suggeriamo le condizioni ambientali migliori per vivere l’esperienza, in questo stesso spazio possono entrare.
Grazie al coordiamento musicale di MAME Mediterranean Ambassador Music Experience, questo progetto prosegue coinvolgendo musiciste provenienti da tutto il mondo: tre nuovi episodi, tre dialoghi nel buio tra voce e violoncello.
La prima cantante ad improvvisare insieme alla violoncellista Irina Solinas è Marta Colombo il cui percorso artistico e professionale ha inizio durante gli studi ai Civici Corsi di Jazz di Milano, con Tiziana Ghiglioni, quando entra a far parte del New Guitar Ensemble di Franco Cerri e del gruppo vocale Clam Chowder e prosegue su molteplici fronti (vedi NOTA, in fondo).
La capacità di Marta di attraversare una molteplicità di mondi, di lasciarsi coinvolgere lei per prima dalla vocalità e dai suoni è unica e si ritrova in questi minuti di improvvisazione.
Nonostante Marta e Irina non si siano mai incontrate di persona, non si trovino nella stessa stanza a suonare, e affidino il loro sentire alla rete Internet, il loro dialogo è intenso. L’intesa e le suggestioni si susseguono mutando colore, registro e forma riuscendo a tessere una trama preziosa.
Rinunciare alla coesistenza fisica quando si suona insieme senza perdere la percezione dell’altro è qualcosa di magico. Ed è magico anche sentirsi spettatori coinvolti ed emozionati pur senza essere accanto ai musicisti: United sounds in the dark_ Pink Rope sembra un incantesimo al quale possiamo prendere parte e del quale facciamo parte, un incantesimo nel quale la musica è più presente, reale e potente che mai, musica capace di annullare qualsiasi distanza.
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Qui è possibile ascoltare gli episodi di United sounds in the dark_Pink Rope
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A Marta Colombo, prima ospite, ho fatto qualche domanda. Com’è iniziato il tuo rapporto con la musica?
Da molto piccola, quando passavo tutto il mio tempo con la nonna materna. Lei aveva la meravigliosa abitudine di svegliarsi la mattina, anche molto presto, e cantare. Cantava di tutto, cantava le canzoni della sua gioventù e io mi svegliavo per andare all’asilo con la sua voce. Mi rendeva sempre felice e divertita cantare con lei. Nessuno nella mia famiglia suonava uno strumento ma tutti abbiamo sempre ascoltato musica. Il mio primo contatto è dunque stato con la voce e ricordo che il mio pensiero era “Che meraviglia sarebbe potermi divertire ed esprimere così anche da grande e farlo magari diventare un lavoro”.
Quando sono cresciuta mi sono resa conto di quanto ricordassi esattamente il suono della voce di mia nonna, il suo timbro e quello che mi cantava. E questo ricordo ha reso per me ancora più chiaro quanto il potere del nostro suono, del suono della nostra voce – di ciascuno e non solamente di chi canta – sia unico. Quando alla fine delle scuole superiori mia madre mi ha chiesto se desiderassi impegnarmi e studiare musica più seriamente non ho avuto dubbi: ho iniziato a studiare canto e proprio con il jazz.
Lavori sia come solista sia con gruppi vocali: quali sono gli aspetti più emozionanti di queste due forme di canto?
Credo che l’esperienza del gruppo vocale a cappella o comunque del canto corale sia necessaria nella formazione di un cantante perché la musica di insieme rappresenta la cooperazione per un obiettivo comune, creare un’unica voce, un unico suono. Un numero anche molto elevato di voci risulta come una sola. Quando ho sentito i primi risultati, l’emozione è stata fortissima, emozione anche per la perfetta forma di cooperazione, di aiuto. Questo dovrebbe essere un esempio di società: collaborare a uno stesso progetto, in una stessa vita, aiutandosi. Infatti le voci di un coro non sono autonome, ma hanno necessità di sentire gli altri e di aiutarli per far procedere il brano.
Le mie esperienze al riguardo sono principalmente tre. La prima è stata con Tiziana Ghiglioni ai Civici Corsi di Jazz: lei è stata la mia prima insegnante, il mio imprinting nel jazz e anche nell’utilizzo della voce come pensiero di strumento e non di parola. Abbiamo formato un piccolo ensemble vocale e, nell’alternarci come solisti, avevamo sempre il supporto delle altre cantanti che non cantavano parole o melodie ma facevano parte dell’armonia. Contemporaneamente ho vissuto l’esperienza del coro con Clam Chowder, a cappella e con repertorio precisamente jazz e spiritual, grazie al quale ho anche potuto viaggiare molto per concorsi e Festival, fare incontri umani preziosi e conoscere realtà ben diverse in cui, rispetto all’Italia, la musica corale è molto più viva nella quotidianità dei giovani e più presente nelle scuole non soltanto musicali e anche nella vita di tutti i giorni.
L’esperienza più recente è quella nel gruppo vocale Burnogualà, nato dal pensiero di Maria Pia De Vito con cui ho studiato a Roma in Conservatorio. Questo gruppo vocale ha una parte di repertorio a cappella e una parte di polifonia del tardo Rinascimento. Questa esperienza ha portato poi a un disco ed è stata in assoluto la più emozionante e necessaria per la mia formazione proprio per la varietà delle sonorità e dei repertori, per la grande componente di improvvisazione e di contaminazione con la musica e per la collaborazione con altri grandi cantanti.
Poi c’è la parte solistica nella quale cerco di esprimere tutta me stessa e il mio pensiero, il mio pensiero sociale, in particolare. Soprattutto ultimamente sento una grande responsabilità rispetto alla comunicazione: ho deciso di studiare jazz e quindi il blues – che è rimasto e che fa parte della mia musica attualmente – proprio perché è una musica che ha sempre denunciato, che ha sempre trasmesso la voce dei musicisti e dei cantanti su qualsiasi argomento, non solamente su temi civili, ma anche dedicandosi all’amore – la maggior parte dei brani parlano d’amore anche se si tratta di un amore sfortunato o che subiva gli anni del proibizionismo e della segregazione. Questa musica mi ha portata a definire il motivo per cui ho deciso di cantare e di usare la mia voce come un mezzo di comunicazione e di denuncia: se posso aiutare, contribuire, mostrare situazioni problematiche della nostra società, allora lo voglio fare. Ho quindi deciso di indirizzare i miei repertori verso una musica di questo tipo, verso una responsabilità anche di comunicazione per la società perché non possiamo più stare zitti.
Nel brano improvvisato per il progetto Pink Rope ci sono sia il testo, sia sillabe alle quali dai sonorità, vocalizzi: qual è per te il rapporto e il legame tra parola e musica?
Sì, ho utilizzato sonorità più strumentali. Questa parte di canto l’ho imparata attraverso il jazz dove l’improvvisazione vocale esiste anche se con schemi armonici e sillabe non sense molto definite. La cantante che mi ha più colpito e più aiutato nel creare un linguaggio di improvvisazione, e quindi una sonorità vocale più libera, è stata Abbey Lincoln, una delle prime cantanti di jazz a passare a un’improvvisazione estrema, più free. Nei dischi era anche socialmente impegnata, ricordo improvvisazioni in cui c’erano vere e proprie grida molto evocative e questo mi ha colpito tantissimo. Mi ha portato a elaborare il pensiero di essere uno strumento. E questo è successo anche nel brano improvvisato con Irina: il gioco di trovare delle sonorità differenti tra gli strumenti che si mettono in comunicazione.
Il legame tra parola e musica in questo momento per me è necessario. Le sillabe, il vocalizzo creano una sonorità, evocano un’immagine, una sensazione, la parola poi è la comunicazione e ne sento la responsabilità. La storia della musica mondiale è costellata di canzoni che sono diventate simboli, icone nel sociale, contro la guerra per esempio. Non parliamo tutti la stessa lingua ma la musica è un linguaggio universale, un mezzo importante che va usufruito e sfruttato in questo momento storico più che mai. Musica per esprimere non solamente esperienze e sensazioni belle – perché questo è quello che deve portare: bellezza e gioia – ma anche protesta.
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Il progetto United sounds in the dark_Pink Rope prende vita nell’ambito del laboratorio di Irina Solinas & Mame attivo sulla piattaforma Patreon dove sarà possibile ascoltarli a partire dal 20 settembre e sostenere questo e altri progetti musicali con un contributo di 4 euro mensili.
NOTA Marta Colombo studia in Conservatorio con Maria Pia De Vito e partecipa a diversi con concerti con il Vocal Ensemble Burnogualà; fa parte del gruppo Daunia Orchestra del pianista-compositore Umberto Sangiovanni, occasione in cui conosce l’incontro tra musica e teatro; collabora con il compositore Massimo Nunzi ed entra a far parte dell’Orchestra Operaia, progetto in cui sviluppa una decisa maturità musicale misurandosi con repertori veriegati, dal jazz tradizionale a quello moderno, dallo sperimentale alla musica contemporanea. Sempre con Massimo Nunzi collabora anche nel progetto Giocajazz, spettacolo didattico per bambini, e registrando musiche per il cinema e serie tv. Fa parte del gruppo New Strikers, diretto da Antonio Apuzzo, progetto di musiche originali tra free jazz e progressive rock con testi di poeti internazionali e una particolare attenzione all’improvvisazione. E poi ci sono il blues e la musica di protesta, c’è il gruppo Mud Pie, le cui sonorità affondano le radici nel lontano Mississippi con un blues essenziale che mescola l’elettronica, l’Africa, il jazz, il rock, l’Europa.