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Allonsanfàn
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Jacopo ormai grande nei Campi di ostinato amore di Piersanti

Mentre leggo la raccolta del poeta urbinate Umberto Piersanti, Campi di ostinato amore (La Nave di Teseo), ri-posto la lettura di una delle sue poesie (è a pag. 77 nel libro): ne richiama un’altra, giustamente famosa, La Giostra, del 2001, scritta quasi vent’anni prima.

Intanto sfoglio il nuovo volume, che parte da lontano, dall’8 settembre di una vera guerra, rivissuta in versi i quali colgono insieme la tenerezza di una famiglia e il senso di un’identità nella storia.

Il ricordo diviene presenza in Piersanti, che è accanto al padre e alla madre, e ritrova gesti e volti (quanti volti!), paesaggi e fiori, tantissimi come sempre, sapendo che l’infanzia “è un’eterna epifania”; nel ritmo della sua poesia, nello sbocciare dalla calma o dall’affanno dell’oggi, Piersanti si apre con essa una via di recupero nel tempo trascorso, che è quella “terra remota”, che “magari non esiste/non sai dove”.

Esiste, invece, nel presente di un poema, articolato in lunghi testi dai versi brevi: il tempo passa, si arriva a Iacopo – la silloge di testi per il figlio, in cui il volto del padre è quello di Piersanti stesso – e si prosegue adesso nelle radure della realtà e del mito, nella campagna urbinate, nelle Cesane, tanto amate da Piersanti, che qui possono addirittura “sconfinare con la Galassia”, nei luoghi dove, fino alla primavera stranita del Covid, il poeta vive e scrive, invecchia e ringiovanisce, e viceversa, scambiando il dolore con la ricerca della grazia.

Scegliete voi la poesia che vi piace di più, che vi dice di più, leggetela e poi rimettetela in sequenza, specchiatela nelle altre: non c’è un modo migliore per abitare un po’ in questo nuovo libro, per capire questo poeta.

Qualche tempo fa, avevo posto a Umberto Piersanti una domanda un po’ oziosa e forse stupida. Gli avevo chiesto di chi sono le parole delle poesie… Da dove nascono o dove sono nascoste… Sono dentro o fuori di noi? Lui aveva risposto gentilmente che “non c’è nessuna entità che ci detta le parole della poesia mentre magari siamo in uno stato di confusione medianica”. E aveva proseguito: “Le parole sono dentro di noi e la cosiddetta ispirazione le deve tirare fuori e disporre sulla pagina aiutata dalla ragione, anche tecnica, e dalla riflessione. Le parole sono però entrate dentro di noi anche attraverso quelle degli altri, anche attraverso lo sguardo sugli alberi, i cieli e le vicende umane…”. Quelle di Campi di ostinato amore, lo si sente, sono arrivate così.

***

Jacopo ormai grande

Jacopo quasi non ricordo
tu che cammini
in fondo alla piscina
tra le bolle
elfo inconoscibile
e distante,
o avanzi dentro i campi
d’Abruzzo tra sciami
di cavallette
e le distanzi,
o ancora fermi l’acque
che al tuo piede s’arrestano là
sotto il Conero
ai Sassi Neri,
ora possente e muto
mi fissi,
così lontano,
Jacopo non ancora nato
che ogni corso mutavi
ed un’intera stagione
mi rapinavi,
e dopo venne il male
che il tuo viso perfetto
appena, appena piega
ma non incrina,
Jacopo delle corse
e dei dolori,
Jacopo del riso
e dello sconforto,
sei nella vita
quella svolta improvvisa
che non t’aspetti,
la tragica bellezza
che i tuoi giorni inchioda
al suo percorso

agosto 2019

Quando ho letto per la prima volta La Giostra di Umberto Piersanti ho notato l’abilità con cui il poeta ha giustapposto alla moderna frenesia dell’incipit – il testo si apre su una scena di ottuso movimento urbano – l’immagine di un passatempo antico, un aggeggio dimenticato dal tempo, sperso e disertato dai giovani con lo scooter, dalle ragazzotte in jeans.

All’apparire di Jacopo, mi è sembrato di guardare la scena da lontano, da una calma apparente, ma di essere pronto ad accogliere la determinatezza del poeta a prendere su di sé la sofferenza, i gesti dell’alterità. Il poeta stesso, per una sorta di pudore, si ritrae un po’ discosto.

Non sono le belle poesie che salvano il mondo – e penso a quello dell’ingenuità e dell’infanzia – a cui appartengono antichi totem come la giostra, e pure il mondo non sarà mai salvato dai ragazzini, nemmeno da quelli che in qualche modo non cresceranno mai. Per questo, la giostra della poesia gira tuttora senza senso e ferisce a ogni giro il poeta-padre e chi legge.

Oggi ho in mano un testo che è, forse involontariamente, forse per fedeltà, La Giostra vent’anni dopo, poiché è scritto nel 2019; il titolo è Jacopo ormai grande, e di nuovo appare nei versi, una quarantina, il figlio amato e distante – e questa cosa, la distanza, è ribadita, come per voler spendere meglio la parola, in due versi che contengono quasi solo quella – e distante, e le distanzi

Jacopo ormai grande è fatto di versi corti ma non concitati, anzi all’apparenza pacati, musicali della musica di Piersanti: in realtà, mentre li rileggo, sento che le immagini e le parole hanno preso una forma e un senso nato un passo dopo l’altro, alla luce di una fatica di scavo pressoché intollerabile. Sono delle parole di ricordo, parole utensili, le schegge verbali di un’ellissi che adesso sembra incisa nella pagina.

La compostezza della poesia, la sua esistenza in luoghi precisi, nominati (Abruzzo, Sassi Neri), non può farci sbagliare, il nitore apparente del componimento non modifica il buio da cui è emerso, e da cui ci parla di una perdita e di un’incontaminata ma disperante bellezza.

IL LIBRO Umberto Piersanti, Campi d’ostinato amore (La Nave di Teseo)

Per un’intervista sulla poesia e sul libro di racconti Anime Perse di Umberto Piersanti, potete cliccare qui

 

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