Grandi riprese dall’alto della tentacolare Los Angeles notturna per Night Stalker: caccia a un serial killer – true crime docu in quattro episodi su Netflix –, detective anziani che scolano whisky in bar dalle luci basse, ricordando quel dannato 1985 con la faccia di pietra e la voce roca che nasconde la nostalgia di essere stati giovani e cazzuti.
Ritorno al passato. Ecco per esempio Frank Salerno, mito della Omicidi, che fa squadra con il piacione ispanico Gil Carrillo, ex elicotterista in Vietnam ed enfant du pays, mentre Salerno è già leggenda.
Sono la coppia giusta: basta loro poco per capire che nello stillicidio di morti ammazzati di stagione – “Kiss my ass” si complimentano l’uno con l’altro – c’è un assassino solo, uno e seriale, per quanto eclettico.
Siamo al giorno 102 della mattanza quando viene sgozzata la signora Higgins. Interni di villette in technicolor bruciato dal tempo, montati con ralenti di gocce di sangue e martelli che cadono per terra, primi piani su cortiletti, cucine, lavandini, finestre forzate, piedi nudi di cadaveri di poverette. 11 vittime. No siamo già a 13. Di più. Bisogna cercare all’indietro in tutti i casi trascurati e così via per le infinite giurisdizioni della Orange County, dove tutti gli sbirri tra l’altro si fanno concorrenza (avere letto un po’ Ellroy o qualche Connelly?).
Il Night Stalker, il serial killer, è versatile, si diceva, uccide o assalta in modo diverso (pistole, coltelli, lacci) e sceglie vittime tra uomini donne bambini.
Il leitmotiv è la varietà della modalità di offesa e del target e, stando così le cose, è più difficile che giocare a Cluedo.
Frank e Gil si ribaciano il culo a vicenda quando mettono tra gli indizi una suola di sneaker da aerobica piuttosto rara, marca Avia, appena prodotta, di colore nero, è un 44 e mezzo. Sembra poco e invece. Trovano l’impronta anche sulla testa di una vittima, un’anziana signora che viveva sola, e che sì è battuta con le unghie per non farsi stuprare. Frank e Gil contano cinque vittime in dieci giorni. Frank il freddo quando arriva nel vialetto di casa “stacca”. Gil il caldo lavora 18 ore al giorno e indaga anche quando dorme. Peggio. La stampa personalizza il caso sui due segugi e loro si trovano, come nei romanzi noir, nel mirino dello Stalker – Frank per rabbia gli ha pure dato del coward sulla prima del L.A. Times. La famiglia Carrillo se ne va di casa, si rifugia dai parenti.
Le domande continuano a girare per la testa degli investigatori: sarà un Charles Manson? Uno tipo: “Satana è la mia ragione di vita”? Ha lasciato qualche traccia in questo senso, ma anche no. E poi, quesito meno nobile, però più utile alle indagini: quando lo Stalker tornerà dal dentista? I due hanno trovato in un’auto abbandonata dal killer il biglietto da visita di un dottore cinese. Ecco che ora possiamo vedere delle radiografie dentali (molto brutte). È la LAPD che si apposta in sala d’aspetto ma poi sputtana tutto.
Finalmente arrivano un nome e un cognome. Il Night Stalker, riconosciuto su un autobus, e fermato per strada, si prende la quarta puntata della mini serie. Passa a sorpresa per fico, il Jim Morrison dei serial killer, anche se è partito calandosi in testa un berrettino degli AC/DC.
Si chiama Richard Ramirez, ha trent’anni e gode di un breve culto al processo nonostante due dati certi – puzza come una capra e ha una bocca da schifo. Alto, zigomi alti, strafottente, è conscio di essere “un criminale importante” – studiava i serial killer in biblioteca – e saluta le fans mostrando nel palmo della mano la stella del diavolo. Ave, Satan, dice. Paradossi della fama: al momento della cattura stava per essere linciato dalla gente comune di un quartiere ad alta incidenza ispanica.
Per quest’attrazione morbosa, il regista della serie, l’esperto in true crime Tiller Russell, non ha personalizzato troppo su di lui il lavoro. Ramirez muore nel death row, dopo aver ricevuto alcune proposte di matrimonio, a 53 anni. Il poliziotto Salerno sarebbe andato volentieri a vederlo nella camera a gas. Il poliziotto Carrillo no, lo tiene nelle sue preghiere (ma per ultimo).
Viene spontaneo paragonare questo docu di true crime con il lavoro di Joe Berlinger sul serial killer Ted Bundy, che gli ha visto licenziare due progetti del 2019: la docu-serie Netflix Conversatio
Quasi ci fosse stata indecisione sul modo migliore per raccontare una storia simile. Fecondo dubbio. È vero che i docu di ampio respiro hanno il gran vantaggio di sottrarsi – oltre che al ricatto emotivo dei programmi di crimine costruiti sull’attualità – agli arbitri di fantasia della fiction, ma il risultato finale, il loro valore, dipende tutto dall’incontro tra giornalismo d’inchiesta e approfondimento e calibrata spettacolarizzazione.
Per esempio: Night Stalker ci dice poco o nulla dell’animo e dell’estrazione sociale del serial killer – sì, era un mezzo barbone, e ha avuto un’infanzia schifa, papà lo crocifiggeva nei cimiteri – ma gode di una straordinaria ricostruzione visiva di Los Angeles, San Francisco e dintorni negli anni Ottanta.
La mini serie è molto ricca anche di immagini legate ai delitti, ai momenti pubblici dell’inchiesta e al racconto dei due cop – i veri protagonisti della serie, che alla fine portano bonariamente pure noi a pensare che per Ramirez la camera a gas sia persino troppo poco.
Insomma, è la parte più squisitamente giornalistica – dovrebbe consistere non solo in un quadro convenzionale per quanto suggestivo della vicenda ma essere capace di aumentare le domande per dare profondità alla ricostruzione – a non permettere il salto di Night Stalker verso una qualità superiore.
Aspettiamo Tiller Russell, che si presenta come un crime obsessed, e noto per aver diretto il documentario The Seven Five (2014), al varco della fiction: a febbraio esce il thriller Silk Road, su Ross Ulbricht, re del darknet market, braccato dall’agente Rick Bowden, detto Jurassic Narc.