La notte poco prima della foresta è un atto unico del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès. Data 1977 (anno sempre significativo) e in un monologo, che è un lungo grido senza un punto fermo, descrive la condizione di chi è straniero, l’alienazione e la rabbia, la precarietà e la solitudine. “Il mio reale milieu è una via di mezzo tra l’hotel per immigrati e l’hotel a ore”, spiegava Koltès, scomparso nel 1989 a quarant’anni. “Le mie radici non esistono…” (cit. da La notte poco prima della foresta, Gremese).
Sembra l’ideale che con questa sorta di blues si confronti oggi, in piena libertà, Pippo Delbono, genio imprevedibile del nostro teatro, quasi un re straniero in patria (anzi, un re senza patria), oggi da solo, ma di solito seguito da una corte di emarginati di cui ha ascoltato e a cui ha restituito la parola nel lampo di una recita e nella pratica di una vita.
Dunque: Delbono va in scena con La notte al Menotti di Milano dal 9 al 14 gennaio, ed è la sua versione di La nuit juste avant les forêts, divenuta un viaggio autobiografico per l’attore e regista ligure, che apre la serata con una lettera di François Koltès, fratello di Bernard-Marie: da lui ha ricevuto “il consenso di tagliare, operare, quasi stracciare il testo originale per intrecciare due vite e due voci”.
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La notte, da La nuit juste avant les forêts di Bernard-Marie Koltès. Con Pippo Delbono. Musiche Piero Corso. Produzione Tieffe Teatro Milano Info Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11, Milano – tel. 0282873611 – biglietteria@teatromenotti.org Acquisti online, qui Con carta di credito, www.teatromenotti.org Orari Dal martedì al sabato ore 20. Domenica ore 16.30
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Qui, una recensione di La gioia, spettacolo visto al Piccolo Teatro di Milano, nel giugno 2019, e particolarmente significativo perché è stato il primo di Pippo senza Bobò, e a lui infatti era dedicato.
Capita una sera milanese di trovarsi al Piccolo Teatro, che fu di Strehler, con un biglietto a prezzo stracciato, di quelli che il web ti tira praticamente dietro, e di infilarsi in mezzo alla solita gente che qualche volta va a teatro: tutti radical chic, certo, what else?
Sbadigli, ti gratti, ti annoi, cerchi le facce conosciute della platea, in fondo è una prima, per quel che vale. E poi, a luci spente, sul palco si presenta a sorpresa uno stregone, uno sciamano, non so chi: è un mago che parla piano in un microfono e tesse con pazienza e lampi di genialità, con una sofferenza che si tocca quasi, il filo sottile di una storia. Elabora in pubblico un lutto e insieme si apre dolorosamente a una redenzione.
Signori e signore, va in scena Pippo Delbono, di Varazze, classe 1959, il teatrante italiano più amato dai francesi: con la sua Compagnia di pazzi, di gente da strapazzo, oggi porta in palcoscenico La gioia, anzi la difficile ricerca della gioia, il primo spettacolo dopo 22 anni dove non ha a fianco Bobò, il piccolo sordomuto morto 82enne a febbraio 2019, con cui aveva creato un sodalizio umano e artistico inusuale, da che lo aveva liberato da quarant’anni di manicomio.
“Dopo Bobò c’è sempre un vuoto”: così Delbono accompagnava l’ultima apparizione dell’amico. Su questo vuoto, oggi risemantizza il teatro. Riporta un senso a un rito consumato. Ci soffia dentro di nuovo la vita, con lo sforzo dell’artista, il dolore dell’uomo, il talento di un indovino che, come il Tiresia di Eliot, sa di aver già visto tutto. Si sposta, in quadri visivi semplicissimi e folgoranti, nella sua ricerca di significato, dal circo dei clown bianchi alle piste da tango, dai monologhi pirandelliani alle preghiere per gli ultimi (annegati), da una prigione di umor nero a una festa che si riflette in una palla luccicante da discoteca.
Finisce dopo un’ora e mezzo un visionario giro del mondo attorno a un’anima – e dentro una forma di spettacolo residuale, di nicchia e moribonda, forse, ma che può tornare per una sera viva e vera, di una verità lancinante – finisce con Pippo Delbono che grida più forte di ogni musica e intreccia la sua voce con quella registrata di Bobò, uno squittio quasi, il pianto di un vecchissimo bambino, il grido di un uccello nel vento.
La gioia arriva alla fine per Pippo Delbono circondato come Tarzan dalle liane di meravigliosi fiori, che sono calati ad abbracciarlo dall’alto. A nessuno del pubblico che lo applaude a lungo, insieme alla sua corte bellissima e stralunata, viene in mente di urlargli bravo, ma solo perché tutti gli stanno dicendo grazie. Grazie (L.M.)