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Allonsanfàn
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Calcio con Garbo. Con la rivoluzione Superlega, il pallone sequestrato dai ricchi. Disastro e noia

Non bastava il Covid, ora abbiamo la Superlega. Dodici club fra i più importanti d’Europa (tra cui Juventus, Inter e Milan) hanno annunciato in pompa magna di voler organizzare un campionato europeo d’élite riservato a 20 squadre, 15 per diritto divino e altre 5 qualificate con criteri da stabilire.

È uno schiaffo alle leggi dello sport, all’idea che Davide possa battere Golia. È uno schiaffo ai tifosi, potrebbe essere la fine dei campionati nazionali. Tutto nel nome dei soldi.

La reazione di Fifa e Uefa è stata durissima: minacce di battaglie legali per 60 miliardi di euro, squalifiche per club e giocatori. Chi giocherà la Superlega non potrà partecipare ai Campionati Europei e Mondiali. Peraltro è la stessa Uefa che ha consentito quella pagliacciata del Fair Play Finanziario: in teoria un baluardo contro le spese pazze, in realtà un sistema che ha permesso al Paris Saint Germain di pagare Neymar 220 milioni attraverso una spericolata manovra di ingegneria finanziaria.

La crisi economica innescata dal Covid ha portato conseguenze pesantissime sui bilanci dei club, con l’azzeramento degli incassi da stadio, il crollo del merchandising e la fuga degli sponsor. Insomma Real Madrid, Barcellona, Juventus, Manchester City, Liverpool, Inter e via dicendo hanno l’acqua alla gola.

Ed ecco il colpo di teatro della Superlega: anziché diminuire i costi, soprattutto gli ingaggi stellari di giocatori e allenatori, i club cercano di aumentare gli introiti. Dieci miliardi, dicono, contro i 3 miliardi e mezzo della Champions League attuale. Un fiume di soldi, alla faccia di chi ha i bilanci in ordine.

Questo significherebbe più partite, calendario ancor più compresso di quello attuale, ma anche un inevitabile aumento degli infortuni dei giocatori. Davvero una bella pensata.

Ma vorrebbe dire anche la fine dei campionati nazionali, della Champions League, dell’Europa League, degli Europei e della Coppa del Mondo. Una rivoluzione.

Dicono che il modello sia la NBA, il basket professionistico americano che non prevede promozioni e retrocessioni. Ma è un paragone che non regge, perché le tradizioni, la cultura dello sport americano sono lontani anni luce da quelle dello sport europeo.

Ci sarebbe poi un altro problema da risolvere, quello degli arbitri. È ovvio che non potrebbero essere utilizzati i direttori di gara della Fifa e dell’Uefa. A questo punto la Superlega potrebbe ingaggiare come professionisti superpagati un team di arbitri europei. E anche questo sarebbe un ulteriore strappo insanabile.

Tutto questo mentre la Uefa sta per varare la nuova Champions League, che dovrebbe partire dal 2024 e avrebbe un nuovo format: da 32 a 36 squadre, con 6 gironi da 6 che garantirebbero almeno 10 partite per ogni club e un totale che passerebbe dalle attuali 125 partite a 225.

Ecco perché la bomba sganciata dai 15 club europei (esclusi, almeno per il momento, tedeschi e francesi) sembra soprattutto una provocazione, uno strumento di pressione.

Si vis pacem, para bellum” dicevano i romani. Se vuoi la pace, preparati alla guerra. Ma la guerra – e sarebbe un conflitto nucleare che distruggerebbe il calcio come l’abbiamo vissuto finora – non conviene a nessuno. Perché lascerebbe solo macerie. E siamo proprio sicuri che i tifosi sarebbero contenti di questa Superlega? Siamo certi che vedere quattro volte all’anno Juventus-Real Madrid sarebbe così entusiasmante? O i tifosi non preferirebbero magari vedere per due volte Atalanta-Juventus e Inter-Sassuolo?

Siamo convinti che le trattative si apriranno a breve (se già non sono cominciate) e che alla fine si troverà un accordo ragionevole che salvi le esigenze dei grandi club, ma tuteli i diritti di società serie come Atalanta, Udinese, Napoli, Lazio, che hanno i bilanci in ordine.

Se così non dovesse essere, prepariamoci a uno scontro gigantesco, a richieste di risarcimenti miliardari, a campionati svuotati di signicato. In altre parole, a un altro calcio. Un calcio per pochi ricchi. Ma non lo vogliamo credere.

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